Se le Borse fossero lo specchio fedele della realtà, diremmo che l’affermazione del socialista François Hollande al primo turno elettorale francese (e la conseguente sconfitta di Nicolas Sarkozy) e la contemporanea caduta del governo olandese (bocciato dalla destra xenofoba di Geert Wilders sulle misure di
austerity) hanno gettato i mercati europei nel panico, al punto da ignorare il ben più concreto stanziamento da 430 miliardi di dollari deciso due giorni fa dal Fondo monetario internazionale per far fronte alle crisi dei debiti sovrani.Ma le Borse, lo sappiamo, sono mobili qual piuma al vento, e non per nulla sono il teatro prediletto dalla speculazione, che ieri ha spinto alle stelle lo spread fra i nostri titoli di Stato e i Bund tedeschi. La realtà che abbiamo sotto gli occhi è invece un’altra. Ed è segnata da un problema ben più grande di qualunque vicenda nazionale: l’Europa dell’euro non funziona più. O meglio, continua a marciare a vuoto, inceppata e legata dai suoi medesimi artifizi, dalle trappole e dagli stretti sentieri che essa stessa si è data.Cominciamo dalla Francia. L’incelabile battuta d’arresto del neogollismo – che ha finito con il premiare soprattutto la deriva lepenista – è la teatrale dimostrazione di come l’acquiescenza mostrata da Sarkozy nei confronti della cancelliera Merkel non abbia pagato. Incatenato come un corrusco Prometeo da un lato al terrore di nuovi declassamenti dopo avere perso in gennaio la tripla A da S&P e dall’altro di veder naufragare quel sogno neocarolingio che di volta in volta ha stregato tutti gli inquilini dell’Eliseo – da Giscard D’Estaing a Mitterrand, a Chirac, il
petit Napoléon, come irriguardosamente viene chiamato in Germania –, si è accontentato di un ruolo di spalla in quell’asse Berlino-Parigi, dove la Merkel ha da sempre dettato – lei sola – le regole del gioco, a volte facendo da battistrada su scelte che Berlino non gradiva assumersi in prima persona.Ma perché diciamo che l’Europa non funziona più? E perché un premio Nobel dell’Economia come Paul Krugman commentando la crescita impetuosa dei suicidi per effetto della crisi preconizza addirittura il "suicidio" del Vecchio Continente ravvisando nelle decisioni dei suoi governi – tedesco e francese sopra tutti – la tragica serie di errori che negli anni Trenta del secolo scorso portò alla Grande Depressione (alla quale certi dati statistici come il 23,6% di disoccupazione in Spagna, il 50% giovanile, l’alto tasso di inoccupazione in Europa assomigliano in tutto e per tutto)?Una delle risposte, non l’unica ovviamente, sta nella sostanziale paralisi in cui si trova la macchina europea. Spogliata di reali poteri, da anni è "ostaggio" delle strategie (e delle fobie) dello Stato più forte, la Germania, e lo sarà certamente fino alle elezioni del 2013. Perché l’austerità e il rigore imposti da Merkel a tutte le economie europee, quelle più fragili e più vicine al baratro (come la greca, la portoghese, l’irlandese), tanto quanto quelle solide ma più difficili da correggere (come l’italiana e la spagnola) altro non sono che il prezzo che la Germania ci fa pagare per continuare a crescere e insieme per garantire la rielezione a Angela Merkel e la buona salute delle banche tedesche.Non siamo gli unici a ritenere che se Sarkozy non avesse legato così strettamente il suo destino alle scelte della Signora Cancelliere, se si fosse mostrato più europeista, più francese e meno "vassallo", forse oggi non avremmo un’Europa in recessione e i focolai populisti, euroscettici e xenofobi sarebbero delle realtà locali limitate, non degli spettri dalla inquietante rappresentanza politica.