Da un lato i segnali della difficoltà a tenere il passo con quanto accade nel mondo. Nel post Covid, il Vecchio Continente va a rilento. Eccetto la Spagna, gli altri Paesi (compresi Germania, Francia e Italia) hanno tassi di crescita inferiori all’1%. Difficoltà economiche che si riflettono poi sul piano sociale e politico: disuguaglianze sempre più marcate, astensionismo, affermazione di partiti di estrema destra e una lentezza istituzionale insopportabile. A Bruxelles, ad oggi - e siamo a fine novembre - la nuova Commissione non si è ancora insediata. E speriamo di essere alle ultime battute di una vicenda che ha impiegato cinque mesi per arrivare a destinazione.
Dall’altro, le urgenze di un’agenda politica con all’ordine del giorno questioni che, se non affrontate tempestivamente, sono destinate a condannare la Ue a una progressiva marginalizzazione. La prima naturalmente è la guerra in Ucraina. Che dopo mille giorni continua a mietere morti e a esporre l’intero continente al rischio di una pericolosissima involuzione. Sul tema, la Ue è stata relativamente coesa, ma non sono mancati i protagonismi nazionali. Come la recente iniziativa del cancelliere Scholz che, in coincidenza con l’annuncio delle prossime elezioni tedesche e senza alcuna consultazione con i partner europei, ha tentato di aprire un dialogo con Mosca. Iniziativa caduta nel vuoto proprio perché non concertata. Tutti sono in attesa di Trump ma nessuno è in attesa della nuova Commissione Ue. Sintomo evidente della evanescenza politica di un’Europa che non è riuscita - in questi 1.000 giorni - a mettere a punto una proposta per portare l’intero continente fuori dallo stato di guerra e lontano dal rischio di escalation. È troppo sperare che qualcosa finalmente si muova?
La seconda questione riguarda i temi della sostenibilità. Negli ultimi anni, l’Europa si è molto impegnata su questo fronte promuovendo il Green deal con l’obiettivo di rendere il continente europeo leader nella transizione ecologica. Oggi però il vento è cambiato: Trump ha dichiarato che uscirà dagli accordi di Parigi, mentre sta esplodendo la questione delle auto elettriche, che presenta importanti implicazioni geopolitiche, economiche e occupazionali. C’è bisogno di un diverso approccio, che superi un certo dogmatismo verde - che finisce per scaricare su piccole imprese e semplici cittadini costi e vincoli eccessivi - pur senza perdere la centralità del tema che rimane fondamentale per il futuro del pianeta. Mai come in questo momento l’Europa deve dire con chiarezza se vuole confermare la sua leadership sulla sostenibilità, cambiando però le politiche che la traducono in realtà.
Infine, la questione dell’innovazione tecnologica e specificatamente dell’intelligenza artificiale. L’Europa, tagliata fuori da una competizione guidata dalle big tech americane, negli ultimi anni si è distinta per l’approvazione dell’Ai Act nel 2024. A dimostrazione di una spiccata sensibilità democratica ma col rischio di un ritardo tecnologico imbarazzante. Solo la Francia, di nuovo in splendida autonomia nazionalistica, sta cercando di convogliare investimenti pubblici significativi su questa nuova frontiera tecnologica. Ma non basta. C’è bisogno di un’azione comune che metta a valore il patrimonio di università, grandi imprese, centri di ricerca che possono allinearsi agli sviluppi più avanzati di una tecnologia destinata a cambiare velocemente il mondo. Ma per colmare il ritardo accumulato è necessario, come scrive Mario Draghi nel suo memorandum, aprire una stagione di investimenti che non possono che essere di portata europea.
Si tratta di tre temi altamente politici. Che richiedono prima una presa di posizione e poi capacità di realizzazione. Passaggi possibili solo sciogliendo due nodi che la Ue si trascina da decenni. Il primo riguarda il superamento del diritto di veto che blocca ogni vera decisione politica. È urgente tornare a porre la questione che non può essere rimandata all’infinito. Il secondo è il debito pubblico europeo. Per finanziare gli investimenti necessari per affrontare le tre questioni sopra richiamate servono risorse importanti. Che solo la Ue può generare diventando così un soggetto capace di aiutare ogni singolo paese membro a fare ciò che da solo, con tutta evidenza, non riesce a fare.
Stiamo vivendo un passaggio storico delicatissimo. Tra qualche anno, queste tre partite potranno essere state vinte oppure definitivamente perse. Il momento è adesso. Se c’è, l’Unione europea batta un colpo.