La basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma - Foto Siciliani
In vista del Giubileo, un itinerario attraverso i luoghi della memoria cristiana a Roma, felice e fortunata per la grazia della permanenza e del martirio di Pietro, il Principe degli apostoli, e di Paolo, l’Apostolo delle genti. Quello che qui proponiamo ogni due settimane è un viaggio che si dipana attraverso le vie regine di Roma, le sue case e le sue basiliche, i suoi vicoli disseminati di osterie e madonnelle, i suoi santuari, storie di persecuzioni e conversioni, per aiutare i “romei” di oggi a trarre dalla visita “ad Petri sedem” conforto e conoscenza della vita per la quale è vera l’immagine dantesca della « Roma onde Cristo è romano».
«Una delle più insigni basiliche romane, quella di San Lorenzo, sacra alla venerazione di tutti i cattolici per antiche memorie e per il nobilissimo sepolcro del nostro venerato predecessore Pio IX, è ormai in grandissima parte distrutta». Con queste parole colme di amarezza Pio XII, l’indomani di quel tragico 9 luglio 1943, comunicava ai vescovi il bombardamento a opera degli Alleati che aveva distrutto la Basilica e il quartiere di San Lorenzo a Roma. Nella memoria rimarrà impressa l’immagine di quel Papa accorso lì, poche ore dopo, solo, tra la folla disperata, tra le macerie, le braccia spalancate. Avevano colpito Roma. Ne avevano colpito il cuore, bombardando quel quartiere popolare, popolare come il santo da cui ha preso nome: Lorenzo. Diceva san Leone Magno che «che grazie a lui Roma è diventata illustre, tanto illustre quanto Gerusalemme è stata glorificata da Stefano». Con questo onore, che lo accomuna al protomartire Stefano, la Chiesa di Roma venera il suo martire, la cui importanza è tale da essere seconda solo a quella di Pietro e Paolo.
Apostolorum supparem, «quasi pari agli apostoli» lo definisce sant’Ambrogio nell’inno che gli dedica, e il paragone con gli Apostoli è fatto sia per esaltarne la grandezza («quasi pari ») sia per ricordare che tutto nasce dall’eredità di Pietro e Paolo, cioè dalla fides romana. Pertanto la festa di san Lorenzo, il 10 agosto, fin dal IV secolo era, insieme a quella di Pietro e Paolo, solennità liturgica preceduta da una vigilia. La grande venerazione del popolo romano per Lorenzo è testimoniata, oltre che dalla dignità liturgica e dalla monumentale basilica dell’Agro Verano, sorta sul suo sepolcro, anche dalle numerosissime chiese a lui dedicate in tutta la Città Eterna. Tuttavia, benché sia tra i primi martiri a ricevere subito un culto ufficiale, di lui abbiamo poche notizie storicamente certe.
Quello che si conosce della sua vicenda proviene da una Passio non anteriore al V secolo e dai Padri della Chiesa, che contribuirono a diffonderne la storia e il culto. Sant’Ambrogio è il primo a parlare di Lorenzo nel Dei doveri degli ecclesiastici, composto nel 389. Da queste fonti sappiamo che era diacono e che fu martirizzato nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, nelle medesime circostanze in cui cadde vittima papa Sisto II. Questi fu decapitato insieme a quattro diaconi che lo assistevano presso le catacombe sulla Via Appia durante la celebrazione liturgica. Altri due diaconi furono giustiziati lo stesso giorno. Lorenzo quattro giorni più tardi. Il decreto di Valeriano contro i cristiani prevedeva, come riferisce Cipriano, vescovo di Cartagine, l’esecuzione immediata, non appena appurata la loro identità di vescovi, presbìteri e diaconi, e la confisca dei beni della Chiesa. Per la prima volta nella storia dei rapporti tra cristiani e l’Impero, l’apostasia non bastava più per ottenere l’impunità, ma si mirava a eliminare i cristiani indipendentemente dal loro proposito di perseverare o no nella fede. Fu questa la prima persecuzione in cui la comunità cristiana di Roma venne colpita proprio in quanto Chiesa, nella sua organizzazione gerarchica e nei beni economici di cui era proprietaria.
Beni dei quali lo stesso Vescovo di Roma, custode del depositum fidei, era il depositario, dice sant’Agostino, «per il sacro vincolo della carità». E nella gerarchia ecclesiastica erano i diaconi a essere preposti alla custodia delle cose sacre e all’amministrazione dei beni della Chiesa – provvedendo a tutte le necessità della comunità, compresa la cura dei bisognosi – secondo l’incarico che gli apostoli a Gerusalemme avevano dato ai primi sette diaconi. Tra loro normalmente veniva nominato un arcidiacono, il primo dei diaconi. A Roma, nei primi secoli, la carica di arcidiacono aveva una particolare rilevanza, fino a comprendere l’ufficio di amministratore e procuratore della Chiesa. Pertanto spesso il primo diacono, come immediato collaboratore del Papa – pur occupando nella gerarchia un grado inferiore ai presbìteri –, era chiamato a succedere al Pontefice. E fu così che Callisto, dopo aver amministrato in qualità di primo diacono il cimitero che ha conservato il suo nome, succedette sulla Cattedra di Pietro a papa Zefirino (199-217); Stefano I (254-257) egualmente ebbe per successore il suo arcidiacono che divenne Sisto II (257-258). Lorenzo, arcidiacono, con molta probabilità sarebbe succeduto a papa Sisto. Prudenzio, nelle Corone – opera scritta una decina di anni dopo il Dei doveri ecclesiastici di Ambrogio – riferisce che «era il primo dei sette che servono da vicino l’altare; levìta più alto in grado superiore a tutti gli altri, egli aveva l’incarico di custodire le serrature che proteggevano gli oggetti sacri; vegliava, fedele depositario delle chiavi, sul tesoro della casa celeste e amministrava le ricchezze consacrate a Dio, provvedendo all’aiuto dei poveri, che erano abituati a essere sostenuti dalla mensa della madre Chiesa, quei poveri che egli stesso conosceva di persona come dispensiere; quei poveri che il loro dispensiere sapeva abituati a nutrirsi con le provviste della Chiesa».
Prudenzio elenca dunque i compiti dell’ufficio ricoperto da Lorenzo, sottolineando la sua fedeltà e la sua carità nei confronti dei poveri. Il suo martirio è così tramandato dalla Passio. Lorenzo, avvertito dei fatti che stavano accadendo presso il cimitero dove si trovava papa Sisto, subito accorse sul luogo per essere accanto al suo Vescovo. E vedendo il Papa condotto dai soldati al martirio cominciò a piangere e a esclamare a gran voce: «Padre, dove vai senza tuo figlio? Dove ti affretti, o santo Vescovo, senza il tuo diacono? Non vuoi che versi il sangue insieme con te, colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei santi misteri?». Ma Sisto rispose: «Perché chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l’intera eredità. Non ti lascio però, non ti abbandono, o figlio, presto mi seguirai. A te sono riservati più grandi combattimenti». Giustiziato il Vescovo di Roma, i persecutori ordinarono allora al suo primo diacono di consegnare loro le ricchezze della Chiesa. E per tutta risposta Lorenzo distribuì l’oro della Chiesa ai poveri. Tre giorni più tardi si presentò all’appuntamento convenuto per la consegna delle ricchezze insieme a una folla di quei poveri ai quali aveva distribuito il tesoro. Interrogato su dove fosse il tesoro promesso, Lorenzo indicando i poveri che aveva portato con sé disse: «Ecco i tesori che mi avete richiesti. Questi che vedete sono il tesoro della Chiesa».
Da sempre la Chiesa gioisce di questi beni, di questi due depositi inestinguibili di ricchezza: il bene della fede, il depositum fidei, e i poveri, i piccoli, che della sua ricchezza sia spirituale che materiale sono i destinatari e i fruitori privilegiati. «E sono veramente tesori quelli in cui c’è Cristo, in cui c’è la fede di Cristo» scrive nel Dei doveri degli ecclesiastici Ambrogio, soffermandosi a commentare questo episodio centrale del martirio di Lorenzo. «Il vero tesoro del Signore è quello che compie ciò che ha compiuto il Suo sangue – scrive –. Il tesoro della Chiesa è il deposito della fede che viene dagli apostoli. E quali tesori più preziosi ha Cristo di quelli nei quali ama mostrarsi? Tali tesori mostrò Lorenzo e vinse, perché nemmeno il persecutore poté sottrarglieli. Lorenzo che aveva preferito distribuire l’oro della Chiesa ottenne così la gloriosa corona del martirio ». Non essendosi quindi in nulla il diacono della Chiesa romana sottomesso alla volontà dell’imperatore, ed essendosi anzi preso gioco di lui, venne condannato a molti tormenti e posto infine su una graticola e bruciato. L’Inno di Ambrogio si apre con il ricordo degli apostoli e della fides romana di cui Lorenzo è frutto prezioso. Lorenzo è divenuto così il consul perennis, il console perenne, come lo chiama Prudenzio, colui che con la carità fa splendere la gloria di Roma.
Pertanto, «come Roma non può rimanere nascosta, così non può rimanere nascosta la gloria di Lorenzo» scrive Agostino in uno dei suoi Discorsi per il dies natalis del martire. Ed è per questo che è posto accanto agli apostoli Pietro e Paolo, e spesso insieme a Stefano, il primo diacono della Chiesa di Gerusalemme, come mostrano anche le raffigurazioni del VI secolo nell’arco absidale della basilica a lui dedicata. Lorenzo venne deposto in un cimitero che una ricca matrona romana istituì in un terreno appartenente alla famiglia dei Verani ( Fundus Verani) lungo la via Tiburtina, appena fuori le Mura Aureliane. Costantino fece isolare e abbellire il sepolcro del santo martire e fece erigere, poco distante, la grandiosa basilica a lui intitolata. La cripta che custodiva il suo corpo era meta costante di pellegrinaggi. Della venerazione e della popolarità che Lorenzo godeva presso i cristiani di Roma si ha ancora testimonianza nei Discorsi di Agostino: «I benefici che elargisce in Roma sono tanto famosi e non si possono affatto numerare. Chi l’ha implorato presso il santo sepolcro e non ha ottenuto? A gran numero di deboli il suo merito continua a elargire anche favori temporali che disprezzò per sé stesso».
(11 - continua)