Le guerre in Medio Oriente e in Ucraina non accennano a placarsi e non si vedono ancora all’orizzonte segni incoraggianti di de-escalation. Al contrario i belligeranti pigiano ulteriormente sull’acceleratore e all’autorizzazione di un presidente americano uscente al lancio di missili a medio raggio sul territorio russo e alla fornitura di mine antiuomo all’Ucraina risponde Putin con l’invio di un missile balistico – intercontinentale secondo gli ucraini, a medio raggio secondo i russi – potenzialmente utilizzabile con testate atomiche. La dichiarazione del leader russo che accompagna questo gesto sembra improntata alla razionalità (strategia dichiarata di risposta simmetrica all’escalation), ma anche al tentativo di spaventare l’Occidente (se i missili a medio raggio per essere lanciati richiedono l’azione di personale occidentale, i Paesi che li hanno forniti sono a tutti gli effetti da considerare Paesi belligeranti).
Il rischio di una catastrofe nucleare è dunque di nuovo più vicino, e la speranza paradossale a cui ci aggrappiamo è quella della razionalità di Putin, che accusiamo di crudeltà e crimini che sono l’opposto di saggezza, lungimiranza e self-control.
La vera cocente delusione in questa difficile fase della nostra storia è quella del comportamento della civiltà democratica occidentale. Lasciamo perdere la follia dei bellicisti da divano che sui social sembrano non rendersi conto che non siamo di fronte ad un videogioco. L’oggetto della discussione non sono i fatti criminali di partenza (il pogrom di Hamas e l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi), ma l’adeguatezza e l’appropriatezza della nostra risposta.
Siamo partiti dalla sopravvalutazione delle sanzioni che avrebbero messo in ginocchio la Russia in poco tempo (rileggere le dichiarazioni di quei giorni). L’errore è proseguito pensando di poter sconfiggere una superpotenza nucleare in una guerra per procura condotta finanziando e armando l’Ucraina. Da un punto di vista psicologico, per certi versi, un dato evidente di questa guerra è il crollo dei freni inibitori di una generazione sempre più lontana dalla tragedia della Seconda guerra mondiale e dalle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. La risposta dei nostri padri all’"impero del male" russo (non certo più rassicurante della versione odierna) era quella della deterrenza non belligerante, della divisione in blocchi che riconosceva lo spazio vitale della potenza avversaria e dei numerosi tentativi di disgelo. Nessuno si sognava e si sognò di bombardare con missili il territorio russo in occasione delle tante rivolte dell’Est soffocate col sangue e con i carri armati russi. Eravamo troppo prudenti o lo siamo troppo poco ora?
La guerra abbrutisce inevitabilmente i contendenti, e il dato più deludente e tragico è quello della tenuta della presunta superiore civiltà delle democrazie occidentali, dove in questo momento abbiamo un Capo di Stato per il quale è stato richiesto l’arresto dalla Corte Internazionale di Giustizia per crimini di guerra e contro l’umanità e l’alleato americano che dota di mine antiuomo gli ucraini e non sembra voler togliere il piede dall’acceleratore. Se questo non bastasse, si vede all’orizzonte il pericolosissimo atteggiamento verso la Cina vista non come una grande civiltà con cui dialogare e cooperare per creare un equilibrio multipolare (lo ha sapientemente ricordato il Presidente Mattarella in visita a Pechino), ma considerata il prossimo nemico con cui qualcuno non vede l’ora di arrivare a un confronto militare.
La ragione ci suggerisce che è quasi impossibile uscire da questo stallo pericolosissimo. La ricchezza della nostra cultura ci dice che esistono le vie del dialogo, della diplomazia, del negoziato, del comprendere e sapersi confrontare con le ragioni degli altri, del trovare un punto d’incontro e un compromesso, del lavorare per la cooperazione e la pace partendo da atti di de-escalation. Tutto questo sembra in questi giorni lontano, con l’Europa sempre meno protagonista e incapace di giocare un ruolo all’altezza della sua storia migliore.