venerdì 13 novembre 2015
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Il vertice "Europa-Africa" che si è appena concluso a Malta è la cartina al tornasole delle contraddizioni che caratterizzano le relazioni, tra i due continenti, a livello di cooperazione. Sebbene sia stato lodevole l’impegno del nostro governo (e anche nei confronti dei lettori di "Avvenire") nel sostenere una piattaforma di confronto tra le due sponde all’insegna dello scambio e della reciprocità – andando così, almeno nelle intenzioni, al di là dell’emergenza migranti – l’elefante ieri ha partorito un topolino. Infatti, l’istituzione di un Emergency trust fund per il sostegno dei Paesi africani, durante il vertice straordinario sull’immigrazione, dimostra ancora una volta che la politica comunitaria, in tema di cooperazione, continua a essere fortemente condizionata dalle divisioni interne all’Unione Europea (Ue) e dalla sindrome emergenziale. Si tratta in sostanza di un fondo di garanzia che può contare su 1,8 miliardi che provengono dalle riserve dello European development fund e da altri fondi per la cooperazione. A questo contributo si sommano i finanziamenti di alcuni degli Stati membri, che finora si fermano a 78 milioni di euro. L’Italia, ad esempio, parteciperà con 10 milioni di euro (come il Belgio), mentre il maggior contribuente sarà l’Olanda con 15, al contrario di Grecia, Cipro e Croazia che si sono astenuti dall’esborso.Lungi dal voler essere disfattisti, leggendo le conclusioni del vertice maltese, si ha la netta sensazione che la Ue confonda i sacrosanti obiettivi della cooperazione allo sviluppo, quelli per intenderci che hanno come scopo l’aiuto alle persone costrette a lasciare le proprie terre, con le finalità della cooperazione di sicurezza che invece mirano a impedire a quelle stesse persone di entrare in Europa. Non basta lanciare iniziative meritorie per l’accesso alla formazione e alla tecnologia dei giovani, finanziando borse di studio per docenti e studenti, o facilitare l’investimento privato responsabile in agricoltura, quando poi è evidente che la vera preoccupazione della Ue è il rafforzamento del meccanismo dei rimpatri con la collaborazione dei Paesi africani.Non è casuale che proprio nel giorno di apertura del summit euro-africano, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon abbia lanciato un appello per salvare la cooperazione europea. L’Onu, infatti ha registrato un drammatico calo di donazioni dalla Ue passando da 560 milioni di dollari nel 2014 a 77 milioni per quest’anno, il che, detto francamente, è a dir poco scandaloso. Non solo: nelle previsione del budget europeo, è anche annunciato un taglio del 24% per il Development cooperation instrument, fondo europeo destinato alla cooperazione, utilizzato in gran parte – per una strana ironia della sorte – a finanziare progetti in terra africana. Tornando, comunque, alla decisione della Ue di istituire il fondo di garanzia di cui sopra, è bene sottolineare che, mentre scriviamo, non è ancora chiara quale sarà la governance che regolerà l’erogazione dei contributi. Anche perché, inutile nasconderselo, la cifra complessiva di 1 miliardo e 800 milioni è davvero irrisoria rispetto a quelle che sono le effettive necessità del continente africano, che continua a essere una vera e propria terra di conquista, soprattutto per quanto concerne lo sfruttamento delle commodities (materie prime e fonti energetiche in primis), per non parlare del land grabbing, l’accaparramento delle terre, spesso frutto di corruzione, da parte di una miriade di società straniere che guardano solo e unicamente alla massimizzazione dei loro profitti. L’Expo di Milano che si è appena concluso – e, com’è noto, era destinato eufemisticamente nelle intenzioni dei suoi ideatori a nutrire il pianeta – è costato, tanto per fare un confronto con i denari stanziati ieri dalla Ue, circa 12 miliardi euro. Una cosa è certa: come hanno scritto, in una lettera aperta, al nostro presidente del Consiglio, in vista del vertice maltese, la Focsiv (la Federazione delle Ong d’ispirazione cristiana) e Concord Italia: «La cooperazione non può essere usata come moneta negoziale per ottenere un maggiore controllo delle frontiere da parte dei Paesi africani. Ciò sarebbe oltre che sbagliato anche illusorio». Giusto metterlo in chiaro subito: cooperare non è mai alzare muri.
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