Ci arrivano migliaia di facce. Sui nostri social e telefoni. Un’estate di facce. Conosciute, sconosciute, mille e mille... Anche il Meeting di Rimini ha messo la parola 'volto' nel titolo. Sono versi di Karol Wojtyla: «Nacque il tuo volto da ciò che fissavi». Anche noi dunque ci troviamo a fissare, magari solo per una frazione, mille volti senza contare quelli che sorridono immobili sui muri, sulle grandi pubblicità. Ci fanno rinascere? Ci chiedono attenzione. Siamo circondati da volti, molti sorridenti, quelli nelle foto, meno quelli visti per strada, reali. Mille volti di persone che conosciamo, alcuni noti a tutti, alcuni solo a noi. Volti in alcuni casi amati, amati fino alla pena per la lontananza, altri semplici comparse di un’estate di selfie condivisi, altri indifferenti, tutti uguali, per così dire.
Anche se poi, specie quelli per la strada, e ancor più specialmente quelli che da soli camminano nelle strade di ferragosto nelle città – e turisti no, non sono – appaiono ciascuno diverso, segnato, luci e ombre... Ma questi volti, se li fissiamo, ci fanno nascere? Fanno nascere il 'nostro nome'? Insomma ci svelano qualcosa di noi, di importante sulla nostra identità più profonda? Il più delle volte no, sono immagini che svaniscono in fretta. A parte quelli che amiamo, quelli no. Il volto della persona amata suscita riconoscimento profondo. Non a caso, il volto fissato da Veronica (a lei sono dedicati i versi della poesia-titolo del Meeting) è il volto di Gesù, da lei seguito, amato e cercato. Presumibilmente la donna di cui si parla era nel gruppo delle donne che seguivano il Nazzareno ed ebbe pietà per il suo dolore, imprimendo il volto nel famoso panno ( Vera icona, da cui letteralmente il nome). Solo i volti che entrano nell’orizzonte del nostro amore generano in noi rinascita.
Quante madri ri-nascono ammirando il volto del figlio, come intuii da Dante in quei versi «Vergine Madre/ Figlia del tuo Figlio», che indicano una verità umana oltre che teologica! Come rinasce l’innamorato quando arriva quel volto nella folla alla stazione. Tra le migliaia di volti che arrivano su un marciapiede, su una pagina fb, su una chat, ecco quello, o quei pochi veramente amati fanno rinascere il mio nome. Certo, qualche filosofo ha provato a dimostrare che in ogni volto umano c’è un richiamo, un invito a riconoscermi uguale e quindi una specie di imperativo morale a tener conto dell’altro, del viso altrui per definire quale sia la mia vera identità. È questa un’alternativa a quel che altri filosofi invece pensano delle società umane: una guerra tra lupi. In effetti, ai tanti selfie e ai tanti volti sorridenti non coincide propriamente una società di gente che si sorride per strada, che si aiuta, che si sostiene. Gesù lo sapeva, e lo sapeva quel poeta di Veronica e futuro Papa.
Perché il volto dell’altro non risulti solo un estraneo, un sospetto non basta un richiamo filosofico e morale. Né un milione di selfie. Occorre vedere nei tratti di quel volto un volto amato, come accade quando ad esempio, incontri il figlio di un amico, o un parente che ti ricorda il viso di un nonno amato o qualcosa del genere. Lì sorge una simpatia, una propensione all’incontro. Non a caso, alla domanda su come rivolgersi al cielo per chiedere le cose importanti, Gesù dice: Padre Nostro. Solo se il suo volto segno di un Padre amatissimo e dolcissimo vediamo riverberare sul viso altrui, ha senso rinascere nei volti, tutti, belli e orrendi, che incontriamo. Se no, è morale da selfie.