
La cappella di san Filippo Neri nella basilica di Santa Maria in Vallicella a Roma - Agenzia Romano Siciliani
Con la “visita delle sette chiese” si conclude il nostro viaggio nel cuore della Roma cristiana che ci ha accompagnati sin dal luglio scorso oltre la Porta Santa, aprendoci pagine magnifiche e intense, delle quali siamo grati a Stefania Falasca. Tutte le puntate sono su Avvenire.it cliccando qui.
Avevano cominciato a ritrovarsi lì, sul sagrato della chiesa di San Girolamo della Carità, a un passo da piazza Farnese. E non sarà passato inosservato alla curiosità dei romani quell’insolito ritrovo quotidiano proprio nell’ora della passeggiata pomeridiana. Noti perdigiorno accanto a notabili, figli di usurai e commercianti, familiari di alti prelati e persino banditi di strada. Erano i figlioli di padre Filippo Neri, il fiorentino. Tutto era cominciato il quel maggio 1551, quando Filippo, novello sacerdote, aveva preso dimora presso San Girolamo della Carità. Li aveva conosciuti in quelle piazze e viuzze del cuore di Roma, di quella Roma popolana scanzonata e insolente, e subito aveva cominciato a frequentarli.
Con padre Filippo l’imprevisto era la regola. Accadeva di ritrovarsi nelle vigne dei Mattei o dei Crescenzi a giocare a “ruzzica e piastrella”, di essere oggetto di qualche burla; spesso imboccato il Ponte Sant’Angelo, dopo una sosta all’Arcispedale di Santo Spirito in Sassia, puntavano dritti a San Pietro, per una visita alla tomba dell’Apostolo, oppure se ne andavano verso l’Esquilino, a Santa Maria Maggiore. La domenica o nei giorni di bel tempo e di festa, cappello in testa e ferraiolo piegato sulle spalle, Filippo attendeva i suoi figlioli sul sagrato per una scampagnata. Allora il cammino si faceva più lungo. La meta erano le Tre Fontane, la basilica di San Paolo; si andava poi sull’Appia alle catacombe di San Sebastiano, e dopo aver consumato un pasto all’ombra di qualche vigna si faceva ritorno passando per San Giovanni in Laterano e Santa Croce in Gerusalemme. Filippo e i suoi (quei primi che diventeranno il nucleo della Congregazione dell’Oratorio) le chiamavano familiarmente “visite”. Proprio come andare a far visita alla casa di un amico, con l’unica differenza che le case visitate erano il luoghi cari alla memoria cristiana di Roma. È fiorita così con questa spontaneità, con la stessa semplicità con cui sono nate tutte le opere di san Filippo, la pratica di pellegrinaggio più famosa e duratura di Roma: la visita delle Sette Chiese.
Il pellegrinaggio alle sette basiliche giubilari ebbe un tale successo che da poche decine di partecipanti arrivò in pochi anni, con il crescere della popolarità di Filippo, a coinvolgere centinaia di persone, fino a raggiungere sotto il pontificato di Pio IV (1560-1565) seimila partecipanti. Senza volerlo, senza quasi accorgersene, Filippo aveva coinvolto tutta Roma. Per di più in uno dei periodi più cupi e travagliati nella storia della Chiesa e della società romana. Basterebbe dunque solamente la visita delle Sette Chiese per comprendere cosa abbia significato nella città Eterna la sua presenza. La semplice presenza di quest’umile, ilare sacerdote dalla letizia contagiosa, a ragione chiamato “Apostolo di Roma”. La visita ai più importanti luoghi di culto dell’Urbe non è tuttavia invenzione di Filippo Neri. Il popolare santo non fa che riprendere l’antichissima tradizione medioevale dei pellegrini romei alle tombe di Pietro e Paolo. Tradizione che nel corso dei secoli, soprattutto con il primo Giubileo istituito nell’anno 1300 da Bonifacio VIII (12941303), aveva indicato le tappe che il devoto viaggiatore doveva compiere, una volta giunto nella Città santa degli apostoli e dei martiri. Anche Filippo, appena diciannovenne, era arrivato a Roma nel 1534 come pellegrino. E come pellegrino, nei primi anni della sua permanenza romana, si recherà frequentemente ai luoghi santi. « Era solito – racconta Antonio Gallonio, autore della sua prima biografia – andarsene solitario alle Sette Chiese, o ad alcuna d’esse, massime a quelle fuori della città», e quelle visite «non furono per lui senza grandissima consolazione e senza profitto di virtù e di doni». Filippo, da laico, continuerà a frequentare le basiliche e le catacombe di Roma. Bisogna tuttavia arrivare al 1552 perché il pellegrinaggio, iniziato in sordina da quel gruppo raccoltosi intorno a lui a San Girolamo della Carità, diventi una pratica stabile e organizzata. Con il crescere del numero di partecipanti Filippo decise infatti di dedicare al pellegrinaggio un giorno fisso dell’anno. E il giorno che gli parve più opportuno fu il giovedì grasso. Il giorno del chiassoso carnevale romano. Così, il primo pellegrinaggio ufficiale alle Sette Chiese ebbe inizio il 25 febbraio 1552.
Riguardo alle modalità della visita negli anni di san Filippo e immediatamente successivi, scrive il Gallonio: «Tenevasi in ciò quest’ordine: s’invitano in prima de’ religiosi di tutti gli ordini, e chiunque voleva venire era benignamente accolto». Il percorso, lungo sedici miglia, fu diviso in due giornate. La partenza, la sera del mercoledì, era da San Girolamo della Carità. Attraversato Ponte sant’Angelo il corteo si radunava a San Pietro, prima tappa della visita. Il giorno dopo si dirigeva a San Paolo fuori le Mura e poi a San Sebastiano, dove si assisteva alla Messa con «musica eccellente di voci e instromenti». Seguiva l’omelia di Filippo o di altri religiosi, quindi la refezione, che con il tempo divenne abituale al giardino Mattei, in quella che oggi si chiama Villa Celimontana. Qui i pellegrini seduti a mangiare sull’erba erano rallegrati da canti e musica. Poi si dirigevano verso la Scala Santa e il Laterano, proseguivano per Santa Croce in Gerusalemme per arrivare alla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, ritornavano infine in città e il corteo volgeva all’ultima tappa dell’itinerario: Santa Maria Maggiore. Lungo tutto il percorso sempre si andava cantando. La melodia caratteristica della processione che risuonava nelle vie di Roma era il Canto delle vanità, il celebre canto che rimase a contraddistinguerla. Ma il cielo sopra Filippo cominciò presto a rabbuiarsi. Proprio a causa delle visite. Nel 1559, l’ultimo anno di vita del papa Paolo IV Carafa (1555-1559), l’atmosfera a Roma si fece particolarmente tesa. Quell’andare di Filippo circondato da tanta gente fu guardato con diffidenza. Alcuni nobili, parenti di alti ecclesiastici, diffusero la falsa voce che la visita delle Sette Chiese era occasione di baldorie e che Filippo e i suoi vi si recavano con «somari carichi di torte». Il cardinale vicario di Roma lo fece chiamare e, rivolgendogli parole gravi, il giorno stesso emise il divieto di svolgere la visita. Filippo difese l’Oratorio e il concorso alle visite come «opera di Dio», ma si disse subito pronto a ubbidire e si rimise umilmente alla sua volontà. Poco tempo dopo, tuttavia, Paolo IV mandò un messaggero a San Girolamo. Recava in dono due grossi ceri e il permesso di riprendere ogni attività. L’Oratorio e le visite erano salve.
Il pontificato del lombardo Pio IV (1559-1565), assistito dal nipote Carlo Borromeo, riportò a Roma la tranquillità. La visita delle Sette Chiese sotto il suo pontificato raggiunse il massimo splendore. Il pellegrinaggio del 1563 registrò l’afflusso di seimila partecipanti. Il suo successore Pio V (1566-1572) volle conoscere da vicino il sacerdote dell’Oratorio e il 31 ottobre 1571 il vecchio e malandato Pontefice procedeva come pellegrino accanto a Filippo per i luoghi santi di Roma. Pio V ci volle andare anche l’anno seguente. L’ultimo per lui. Questa visita, scrive testualmente il biografo di san Pio V, rappresentò il suo congedo dalla vita, «andando il Papa in gran parte a pie’ da San Paolo a San Sebastiano, là dove credette ognuno dovesse morir per istrada». Il suo successore Gregorio XIII (1572-1585), che santo non fu proclamato ma che i santi sapeva riconoscerli, inaugurò per Filippo e i suoi confratelli una nuova epoca. Il 15 luglio 1575 con la bolla Copiosus in misericordia concesse a Filippo l’approvazione della Congregazione dell’Oratorio e la chiesa di Santa Maria in Vallicella. Papa Gregorio stesso aveva scelto questo luogo perché era a lui vicino e comodo per recarvisi con la corte. E da allora la visita delle Sette Chiese partì sempre dalla Vallicella.
Dopo la morte di Filippo, nel 1595, la visita continuò con un numero sempre elevato di partecipanti. Tra il Seicento e il Settecento vi presero parte diversi Pontefici: Paolo V (1605-1621) che la fece più volte, Benedetto XIV (1740-1758) e Clemente XIII (1758-1769). Il pellegrinaggio fu tenuto con assiduità fino al 1870, quando le mutate condizioni politiche di Roma ne impedirono lo svolgimento. Nel 1922, in occasione del terzo centenario della canonizzazione di Filippo, la visita riprese con nuovo slancio compreso il pic nic a Villa Celimontana. Dall’ultima guerra fu tenuta in Quaresima, con carattere penitenziale. Da allora in poi, la celebre pratica di pellegrinaggio è andata scoprendo la forma con cui l’“Apostolo di Roma” l’aveva concepita. A una delle ultime visite aveva partecipato il cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, devoto del santo romano fin dall’infanzia trascorsa alla Chiesa Nuova.
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