Caro Marco Tarquinio,
in queste ultime settimane ho letto con molto interesse gli interventi che si sono susseguiti sulle pagine di “Avvenire” sull’ipotesi di ricostituzione di un partito che sia in grado di dare evidenza alla presenza e al ruolo che i cattolici svolgono nella nostra società. A me sembra che oggi più che pensare alla ricostituzione di un “partito cattolico”, si debba pensare piuttosto a rafforzare i luoghi e le occasioni per dare evidenza al pensiero e alla proposta cristiano cattolica in Italia e in Europa, e in questo un ruolo importante lo svolgono i giornali, i libri, gli editori e le librerie, perché ciò che manca, non è tanto un modo organizzato di promuovere l’azione politica, ma l’evidenza della proposta politica, ovvero della traduzione del Vangelo in proposta politica. Per questo giornali, come “Avvenire”, ma anche libri, editori, librerie possono essere, come già in parte lo sono, un prezioso spazio di confronto e di costruzione di una proposta che, partendo dall’idea di persona – e di persona nella società – che è propria della cultura cattolica, sappia costruire soluzioni ai molti problemi della nostra modernità, con lo spirito che contraddistingue i cristiani cattolici, ovvero del confronto e del dialogo, nella ricerca poi della sintesi, che in politica rappresenta la migliore soluzione possibile in quel dato momento storico.
Troppo spesso il mondo, anche culturale, cristiano cattolico in Italia, dopo la fine dell’esperienza politica della Dc e l’affermazione di una società sempre più secolarizzata, si è chiuso in sé stesso, limitandosi a coltivare un confronto interno a sé, anziché cercare spazi e occasioni di apertura al mondo, che in fondo è il vero orizzonte al quale il cattolico deve guardare, perché come ci ricorda bene papa Francesco, il messaggio di Cristo è per tutti. Il fatto che, dopo la chiusura dell’esperienza della Dc, i cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti (e con essi gli elettori che si sentono cattolici) rappresenta a mio avviso una grande opportunità per la traduzione in azione e proposta concreta del messaggio evangelico, divenendo strumento di unità anziché di contrapposizione, nel segno della proposta e della ricerca delle soluzioni migliori possibili. Perché di questo oggi si sente l’esigenza: di proposte che sappiano unire e aiutare il nostro Paese, la nostra società, a riprendere quel percorso di crescita che è stata la vera cifra politica dell’esperienza della Dc.
Caro Tarquinio,
Caro Tarquinio,
Ciò porta a considerare almeno tre possibilità: 1) lasciare la situazione così com’è: il che, molto probabilmente, farebbe aumentare la poca rilevanza dei cattolici dentro le rispettive coalizioni. 2) guadagnare, come si dice, il mare aperto, senza esitazioni, puntando a una “Nuova Dc” dentro un autonomo polo di centro; 3) non creare una “Nuova Dc”, ma costruire una netta discontinuità rispetto al presente. I cattolici, ovunque militanti politicamente, dovrebbero, insomma, far sentire di più, senza arroganza ma con coerenza, la loro voce su temi importanti e dovrebbero saper fare squadra anche trasversalmente, valorizzando la libertà di mandato parlamentare e/o la libertà di coscienza (senza naturalmente fare un uso improprio di dette possibilità). Penso ai temi cosiddetti eticamente sensibili, ma anche alla specifica, originale impronta da dare, per esempio, alla costruzione della pace, alle relazioni internazionali, all’ecologismo, all’economia, alla scuola, al lavoro, alla solidarietà sociale, alla spiritualità, alla valorizzazione dei corpi intermedi...
In questo momento storico sarei più favorevole – per quel che vale – alla terza possibilità. Se poi concretamente la cosa, per varie ragioni, non portasse sufficiente frutto, o non si volesse farla camminare, allora s’imporrebbero, certo, ragionamenti e scelte diverse.
Le stimolanti riflessioni sulle forme di presenza politica dei cattolici inviatemi da tre amici lettori s’inseriscono nell’interessante dibattito a più voci che si sviluppa da tempo anche sulle pagine di “Avvenire”. Pretendono spazio e dunque cercherò di essere io più breve.
Penso che la pluralità delle scelte di voto dei credenti, ampliatasi e consolidatasi dopo la fine della Dc, sia una condizione per così dire “naturale” in una democrazia matura e in buona salute, e questo per me significa una democrazia “abitata” da soggetti politici concordi sull’essenziale a garanzia del buon funzionamento della casa comune, capaci di proposte organiche e coerenti e di leadership plurali e affidabili. Leaderismo spinto e sloganismo tossico sono, invece, sintomi della malattia di una democrazia.
La storia ci aiuta a capire che partiti di raccolta del voto cristianamente ispirato si sono organizzati e hanno svolto funzioni positive in fasi speciali delle vita di varie nazioni europee e latino-americane (Italia, Germania, Venezuela, Cile…), quando c’erano da affrontare momenti critici, radicando e sviluppando il costume democratico nella vita di grandi masse popolari. La Dc e i suoi partiti fratelli, insomma, rappresentano una motivata eccezione, la risposta a un’urgenza di ricostruzione morale, civile ed economica e a gravi rischi di ingiustizia e di involuzione sociopolitica. Se di questa motivata eccezione ci fosse ancora bisogno, credo che l’iniziativa sarebbe inevitabile, probabilmente in forme parzialmente nuove (e con anche sorprendenti e feconde ibridazioni) nelle nostre società secolarizzate, segnate sia dall’individualismo sia dalla frettolosa liquidazione di importati storie e comunità ideali e politiche.
La crisi del sistema bipolare italiano ora basato su una ampia ma tutt’altro che coesa coalizione di destracentro e su uno scomposto mosaico di centrosinistra può provocare una di queste fasi eccezionali. E se l’inadeguatezza delle attuali proposte dovesse accentuarsi e se continuassero a crescere l’insoddisfazione, gli irrigidimenti e gli impoverimenti materiali e di speranza che inducono tanti cittadini (anche cattolici impegnati) al non-voto si produrrà a una rottura del quadro politico assai più grave di quella maturata tra 2011 e il 2018 con l’archiviazione del primo berlusconismo e l’avvento di ben due destre a vocazione egemonica (Lega e Fdi) e con la contemporanea rottamazione non tanto della classe dirigente quanto della sostanza dell’originaria proposta democratico-ulivista. La rigenerazione del bipolarismo italiano è ancora possibile ed è nelle mani dei suoi protagonisti, oggi principalmente (ma non esclusivamente) due donne che mostrano di avere compreso almeno una parte del problema, quello dell’identità delle rispettive forze politiche: la neoconservatrice Giorgia Meloni e la solidarista Elly Schlein.
Mi pare evidente, per stare al tema che i lettori pongono, che entrambe le leader devono articolare altre e compiute risposte, anche all’opinione pubblica “cattolica”. E questa, per come la conosco, non è assegnabile a priori a chi offre slogan facili, è renitente alle radicalizzazioni “belliche” e ha più che mai chiaro – grazie all’insegnamento forte di papa Francesco – che fraternità ed equità sono il fondamento della giustizia e della pace, che la libertà deve coniugarsi con la responsabilità e che i diritti personali di chiunque hanno almeno lo stesso valore dei doveri verso la comunità e accanto ai poveri. Questo, anche per me, è il posto politico dei cristiani. Non roba da azzardi d’occasione, ma da impegni solidi. Così oggi e così domani, nelle forme via via possibili e necessarie.