I dossieraggi sono una variante moderna di una cosa molto antica: gli intrighi di potere. I dossier su questo o quel personaggio – della politica, dell’economia, persino dello spettacolo – vengono utilizzati da chi di potere ne ha già un po’ o magari molto, ma ne vuole di più, in fretta, con ogni mezzo. Vale anche per il pasticciaccio brutto di cui si parla molto in questi giorni: quello della società investigativa Equalize. A quanto sembra, una parte dei dossier sono stati ordinati da qualcuno – non proprio l’ultimo arrivato – cui il potere che aveva non bastava più, a scapito, sembra, non solo di nemici ma anche di concorrenti del suo stesso giro e persino di “amici”. Non è la prima volta. Nella Prima repubblica, i dossier venivano fabbricati dal Sifar, il servizio segreto militare – a scopo, ufficialmente, di sicurezza – e si diceva che Fernando Tambroni, ministro dell’Interno dal 1955 al 1959, dovesse il timore che lo circondava tra i suoi colleghi politici alla possibilità di disporre di tali dossier. Tambroni riuscì a coronare le sue ambizioni e divenne Presidente del Consiglio. Ma fu presto fermato, non tanto da grandi manifestazioni di piazza come si è spesso sostenuto, quanto dal suo stesso partito. Anni dopo, Andreotti risolse il problema in radice facendo bruciare tutti i dossier del Sifar.
Molte cose sono cambiate da quando le notizie sensibili non sono più nascoste in polverosi incartamenti ma conservate su un supporto elettronico, in teoria inviolabile in pratica violato sempre più spesso. Le informazioni riservate, infatti, sono così diventate facilmente accessibili a molti e c’è un vasto mercato in cui è possibile commerciarle. In Italia, nel giro di pochi mesi sono emersi migliaia di accessi abusivi a dati coperti da segreto all’interno della Direzione antimafia; la raccolta delle password di tantissimi giudici da parte dell’hacker della Garbatella; l’intrusione in centinaia di conti bancari da parte di un impiegato barese in preda a una curiosità compulsiva… Non tutti questi episodi hanno la stessa gravità. Quello, soprattutto milanese, di cui si parla in questi giorni sembra più grave dei precedenti, visto che è stato violato anche un indirizzo email del Quirinale, ma è probabile che alla fine anche quest’ultima vicenda non cambi il corso della storia, come è invece avvenuto con le email di Hilary Clinton nelle elezioni americane del 2016. E, soprattutto, dietro questi episodi non si intravedono ancora “grandi vecchi” che tirano le fila. Sbagliano perciò quei politici che usano questa o quella violazione della cybersicurezza per gridare al complotto e presentarsi come vittime con lo scopo di colpire l’avversario politico invece di guardare anzitutto in casa propria. La minaccia più grave per la democrazia non coincide con il danno che viene a un singolo più o meno in vista – il quale, ovviamente, ha pieno diritto a essere tutelato – ma piuttosto con ciò che insidia i diritti di tutti. Non è una questione da poco che archivi informatici in cui sono contenuti dati di tutti gli italiani e la cui sicurezza dovrebbe essere rigorosamente tutelata, come quelli del Viminale, siano stati violati. Garantire tale sicurezza è una necessità ineludibile e urgente.
La denuncia di forme di corruzione o di dossieraggio, che inquinano tutte le democrazie seppure in misure molto diverse, non deve essere utilizzata per il proprio interesse, ma per combattere questi fenomeni in modo complessivo. Rafforzando anzitutto gli anticorpi più efficaci: un’opinione pubblica vigilante, la collaborazione su questo terreno tra forze politiche diverse, una magistratura indipendente. Lascia invece perplessi l’annuncio di provvedimenti proposti ufficialmente per affrontare la questione del giorno, ma in realtà dettati da agende politiche precostituite. Neanche un ennesimo aumento delle pene è la soluzione. Occorre piuttosto andare a fondo, in questo come in altri campi, dei problemi legati all’uso delle nuove tecnologie. Queste non sono un problema in sé, ma lo è invece l’uso che se fa e su questo la politica deve intervenire, rompendo con un disinteresse colpevole e irragionevolmente prolungato. Abbandonarle alle leggi del mercato significa di fatto abbandonarle alla legge del più forte. Ѐ questo il pericolo più grande per la democrazia.
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