L'udienza di papa Francesco al presidente Zelensky. Il quarto da sinistra è l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash - Vatican Media
«L’Ucraina guarda con favore all’azione diplomatica della Santa Sede: sia che si tratti di sforzi per la liberazione della nostra gente, sia che riguardino tentativi di negoziati distinti». L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, conosce bene il “peso” della Chiesa cattolica sulla scena internazionale. E sa quanto per Kiev sia importante l’appoggio vaticano. Mercoledì 30 ottobre è cominciato in Canada il secondo summit internazionale sulla Formula di pace del presidente Volodymyr Zelensky. Dopo il vertice in Svizzera dello scorso giugno, stavolta l’incontro di due giorni ha un unico tema in agenda: la “liberazione di tutti i prigionieri e deportati”, quarto dei dieci punti targati Kiev. «Ed è presente una delegazione vaticana con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher», afferma Yurash.
L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash - @AndriiYurash
Dalla sua rappresentanza diplomatica, affacciata sulle mura leonine a Roma, è passata la preparazione dell’ultima udienza di papa Francesco a Zelensky avvenuta l’11 ottobre. «È stato il quarto incontro da quando il presidente è in carica; il terzo dall’inizio dell’invasione su vasta scala. Non molti altri leader mondiali hanno avuto l’opportunità di incontrare così spesso il Santo Padre. Direi che si è instaurato un rapporto di fiducia reciproca. E mai abbiamo avuto un livello così significativo di comprensione e interazione», sostiene Yurash. Poi riferisce di cinque liste che Zelensky ha affidato alle mani “vaticane”. «Il presidente ha chiesto al Papa di continuare a fare tutto il possibile per riportare a casa i nostri concittadini dalla Russia. E, tramite questa ambasciata, ha fatto arrivare alla segreteria di Stato cinque elenchi di nomi: uno dei giornalisti; uno dei civili in condizioni di salute critiche; uno dei militari feriti; uno di ecclesiastici catturati; e naturalmente quello dei bambini». Una pausa. «Come ha dichiarato lo stesso presidente, la Santa Sede è al primo posto in questa nostra attenzione. Non da sola: abbiamo altri partner come il Qatar o il Canada. Ma il suo apporto è fondamentale». L’ambasciatore cita il Papa, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, la rete delle nunziature e la “missione” del cardinale Matteo Zuppi che «nelle scorse settimane, andando a Mosca per la seconda volta, è tornato a parlare con i russi».
Il cardinale Matteo Zuppi e l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash - @AndriiYurash
L’Ucraina è in sintonia con la missione di pace della Santa Sede?
«Già prima che iniziasse la guerra nel febbraio 2022, l’Ucraina vedeva nella Santa Sede uno snodo e un luogo per possibili negoziati con la Russia (collegati agli scontri in Donbass, ndr). Ma, per una trattativa, serve che le due parti siano disposte a incontrarsi. Sfortunatamente la Russia non lo era, mentre l’Ucraina è da anni favorevole all’iniziativa vaticana di moderare il dialogo».
La diplomazia umanitaria è via di pace, secondo l’assunto d’Oltretevere?
«Sicuramente. Come può esserci pace se una parte del nostro popolo si trova prigioniero in un altro Stato? Sono migliaia gli ucraini deportati nella Federazione Russa, compresi i minori. Non è un caso che il loro rimpatrio sia uno dei punti della Formula del presidente Zelensky. La Santa Sede ha partecipato sia al summit in Svizzera a giugno, sia all’attuale vertice in Canada per implementare il piano del presidente e supporta il punto relativo a questo tema. Di fatto aiuta il nostro Paese con un intervento che sta a cuore alla popolazione».
Sul rientro dei ragazzi “rubati” i numeri sono ancora ridotti.
«La Santa Sede sta facendo il massimo. Tuttavia le operazioni sono complesse. Occorre inviare le liste, avere contatti con le autorità di Mosca, capire i luoghi in cui i bambini si trovano, portarli fuori della Russia».
Il cardinale Pietro Parolin durante la sua visita in Ucraina a luglio. A fianco del porporato l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash - @AndriiYurash
Il Papa ha criticato la nuova legge ucraina che mette al bando la Chiesa ortodossa legata a Mosca. C’è un giro di vite sulla libertà religiosa?
«L’Ucraina garantisce la piena libertà di culto, secondo gli standard internazionali. Tuttavia siamo in guerra e ci sono ragioni di sicurezza nazionale. Oggi il 90% della popolazione chiede che la Chiesa ortodossa presente nel Paese non sia più dipendente da Mosca. Il presidente Zelensky ho ha ribadito nell’udienza con il Papa. Il patriarcato di Mosca ha contribuito alla preparazione della guerra, l’ha benedetta, continua a favorirla, collabora con i militari russi nelle zone occupate. Quindi la legge da poco varata non è contro l’ortodossia, ma contro la subordinazione a Mosca. E non è contro i credenti: infatti, abbiamo una Chiesa ortodossa autocefala, indipendente canonicamente e riconosciuta dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli, e i fedeli ortodossi possono unirvisi per professare la loro fede».
Negli incontri vaticani di Zelensky si è parlato dell’arruolamento obbligatorio dei sacerdoti che preoccupa la Chiesa cattolica.
«In segreteria di Stato il presidente ha spiegato che non è prevista alcuna mobilitazione del clero. Nessun prete verrà mandato in prima linea come soldato o imbraccerà un’arma. Al massimo può essere integrato nell’esercito come cappellano. E il ministero della Difesa ha creato un dipartimento per il reclutamento di nuovi cappellani militari che sostengano spiritualmente i soldati».