giovedì 31 ottobre 2024
La scienza ha stabilito che i disastri naturali non esistono ma fenomeni terribili come quello di Valencia sono legati a politiche e comportamenti sbagliati. Perché la Cop29 è l'ultima chance
Come può l'umanità disinnescare la bomba climatica
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Le alluvioni che hanno sommerso la provincia di Valencia e altre regioni della Spagna non sono un disastro naturale. Perché i disastri naturali non esistono. Fin dagli anni Settanta, gli scienziati hanno iniziato a contestare il nesso di causalità tra fenomeni ambientali estremi – uragani, piogge torrenziali, inondazioni, siccità prolungate – e natura. Hanno, invece, spostato lo sguardo sui comportamenti umani e le scelte sociali, politiche ed economiche che trasformano il rischio – questo sì naturale e, dunque, inevitabile – in catastrofe. Con tale termine si intende, in base alla definizione della Croce Rossa internazionale, «qualunque evento improvviso e calamitoso che interrompe seriamente il funzionamento di una comunità o di una società e provoca perdite umane, materiali, economiche o ambientali superiori della capacità delle realtà implicate di farvi fronte le proprie risorse». Esattamente quanto sta accadendo a Valencia.

Il punto è perché. La risposta, dopo anni di studi e discussioni, è arrivata in modo definitivo con il Sesto rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) del marzo 2023. Ogni aumento di una frazione di grado delle temperature mondiali aumenta la probabilità di eventi meteorologici estremi. Il riscaldamento globale, inoltre – sostiene il più autorevole gruppo che riunisce migliaia di studiosi dai 195 Paesi membri della Convenzione Onu sul clima – è causato «in modo inequivocabile» dall’attività degli esseri umani e dalla crescente quantità di gas serra immesse nell’atmosfera da questi ultimi a partire dalla rivoluzione industriale, in seguito all’impiego massiccio dei combustibili fossili. Il cambiamento climatico è sempre esistito, certo.

Ad essere inedita è, tuttavia, la rapidità del mutamento da cui discendono gli attuali sconvolgimenti. Per chi fatica a districarsi nel labirinto di fake news e post-verità, può essere utile ricorrere alla prova della realtà. Nel giro di un mese e mezzo, si sono susseguiti almeno quattro “mostri meteorologici”, come vengono chiamati. Prima, tra il 12 e il 15 settembre, la tempesta Boris ha flagellato l’Europa centro-orientale, con un’intensità di piogge mai registrata. Poi, il 26 settembre, l’uragano Helene ha devastato la Florida, uccidendo 227 persone e assicurandosi il titolo di “secondo più letale nella storia degli Stati Uniti dopo Katrina”. Due settimane dopo è arrivato Milton, il secondo più intenso mai registrato nell’Atlantico. Infine Valencia, preceduta dalle alluvioni dell’Emilia Romagna. Il gruppo di ricercatori World weather attribution (Wwa) analizza le catastrofi ex post, valutando per ciascuna l’influenza dell’attuale surriscaldamento rispetto all’era più industriale: +1,2 gradi. Nel caso di Helene e Milton, l’intensità delle precipitazioni è cresciuta di una quota tra il 20 o il 30 per cento. Per Boris, si parla del 50 per cento.

Il fatto che i disastri naturali non esistano, però, è una buona notizia. Archiviare questa categoria obsoleta ci sottrae al ruolo di spettatori impotenti dei cataclismi meteorologici. Disinnescare la bomba climatica che scandisce i secondi – per parafrasare il segretario generale Onu, António Guterres – è possibile. Le soluzioni esistono, si tratta di avere la volontà politica di attuarle. Il banco di prova sarà la Cop29 che l’11 novembre si aprirà a Baku, in Azerbaigian, e ha al centro una questione centrale: il finanziamento della transizione ecologica. In particolare, di quella energetica – si richiede un investimento da 35 miliardi di dollari –, sull’onda della storica di svolta dello scorso vertice di Dubai che ha avviato l’uscita dai combustibili fossili. Affinché questo possa realizzarsi su scala globale, è necessario un sostegno massiccio al Sud del mondo. L’obiettivo dei 100 miliardi l’anno fissato nel 2009 è ormai obsoleto: a Baku dovrà essere moltiplicato almeno per cinque per essere adeguato.

Questo fine settimana, i risultati del summit Onu sulla biodiversità in corso a Cali saranno un termometro delle intenzioni dei Grandi di impegnarsi, anche economicamente, nella protezione della natura. È una questione di priorità. Già con “Fratelli tutti”, papa Francesco aveva proposto di creare un fondo per il clima – e per contrastare la fame – con i soldi delle armi. La spesa miliare, però, continua a crescere. Da Gaza all’Ucraina al Sudan, gli effetti sono evidenti.

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