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«Il principio di partecipazione è una risorsa energetica di cui la scuola non può fare a meno. È un valore educativo da sostenere e prevale sulla stessa produttività scolastica, il cosiddetto merito». Alla soglia dei novant’anni, Luciano Corradini non ha perso l’entusiasmo e la voglia di portare avanti le idee che, mezzo secolo fa, cambiarono la scuola italiana. Autore di testi come Le assemblee studentesche e la democrazia scolastica del 1971, ha indicato la strada che, nel 1974, portò all’adozione dei Decreti delegati.
Una rivoluzione vera e propria all’insegna della modernizzazione del sistema scolastico che, per la prima volta, introduceva il principio di partecipazione nella scuola italiana, con la presenza dei genitori negli organi collegiali. A distanza di mezzo secolo, l’entusiasmo iniziale ha lasciato il campo a una certa disaffezione. Un dato inquadra perfettamente la situazione: alle scuole superiori la partecipazione dei genitori alle elezioni scolastiche non supera il 10% degli aventi diritto. C’è insomma la tendenza delle famiglie a ritrarsi, salvo farsi sentire quando si tratta di difendere il proprio figlio (anche con comportamenti sopra le righe se non proprio violenti e assolutamente da rifiutare).
Nonostante tutto, però, sotto la cenere cova ancora la brace della prima ora, che una rete di associazioni (di insegnanti e genitori) ha deciso di ravvivare, lanciando un grande progetto nazionale: il Tavolo scuola famiglie in dialogo. Che è stato al centro del recente convegno Scuola e famiglie. La forza delle convergenze, promosso a Roma dall’Unione cattolica italiana insegnanti educatori formatori (Uciim), insieme all’Associazione italiana genitori, al Coordinamento Care, al Coordinamento genitori democratici e alle Famiglie Arcobaleno. Il primo momento pubblico del Tavolo è stato “tenuto a battesimo” proprio da Corradini, che anche stavolta non ha voluto fare mancare il proprio contributo di idee e passione: «C’è bisogno di un rinnovato impegno educativo», ha ricordato agli insegnanti, dirigenti e genitori presenti.
«Anche alla luce dei recenti e gravi episodi di violenza contro insegnanti e dirigenti, avvertiamo la necessità di rivedere i Decreti delegati», ha sottolineato la vicepresidente nazionale vicaria dell’Uciim, Elena Fazi. Anche per ripensare a un nuovo patto di corresponsabilità tra scuola, famiglia e giovani, è maturata l’idea del Tavolo di dialogo che, è stato spiegato, «nasce dall’esigenza di una vera partnership educativa fra scuola e famiglia, fondata sulla condivisione dei valori e su una fattiva collaborazione». Affinché la scuola sia davvero una «comunità educante», capace di raccogliere «la sfida essenziale: riuscire a realizzare quel patto educativo tra insegnanti, studenti e genitori, che non sia solo una carta in più da firmare all’atto dell’iscrizione ma un’alleanza costruita insieme».
Una necessità già sottolineata da Gianni Rodari: «Il punto cruciale è quello dell’incontro di base fra genitori e insegnanti, forma concreta dell’incontro fra Scuola e Società: se questo incontro fallisce, la struttura non vive». Anche papa Francesco ha più volte richiamato la necessità di un Patto educativo globale, ricordando che «i genitori sono i primi artefici dell’educazione dei figli». Come per altro stabilisce l’articolo 30 della nostra Costituzione.
«Un’alleanza forte tra la scuola e la famiglia – sottolinea il Papa – permette la trasmissione delle conoscenze e al tempo stesso di valori umani e spirituali. È l’occasione per promuovere l’educazione integrale dell’uomo, al fine di un mondo più umano e assicuragli la sua dimensione spirituale».
Un obiettivo alto e ambizioso che, però, deve fare i conti, come detto, con la disaffezione crescente verso una partecipazione attiva dei genitori alla vita scolastica. «L’individualismo esploso con la pandemia resiste ancora – ha sottolineato la dirigente scolastica, Maria Vittoria Pomili, dell’istituto comprensivo “Città dei bambini” di Mentana, in provincia di Roma –. L’interesse dei genitori è quasi esclusivamente dedicato a interessi personali dei propri figli. E, invece, credo sia importante ripartire con il comune obiettivo di costruire una vera comunità educante». Necessaria alle stesse famiglie che, ha sottolineato la preside, «spesso sono sole e vogliono essere ascoltate». «Non possiamo fermarci di fronte alla disperazione di tanti genitori», ha avvertito Carla Parolari, dirigente dell’Istituto “Vincenzo Gioberti” di Roma. E non importa se alle riunioni si presentano in due. La preside non molla e continua a soffiare sul fuoco della partecipazione. Che, per tanti, diventa anche occasione di riscatto.
È il caso degli alunni-migranti delle scuole Penny Wirton che, dal 2008 a Roma e oggi in tutta Italia, insegnano l’italiano agli stranieri, secondo il lascito di don Lorenzo Milani: senza lingua non si può vivere. «Abbiamo imparato dagli studenti a insegnare», ha raccontato Anna Luce Lenzi, fondatrice dell’esperienza delle scuole Penny Wirton, con il marito, lo scrittore Eraldo Affinati. Insieme hanno firmato Atlante dal mondo nuovo, collezione di racconti scritti dagli stessi ragazzi che, per la prima volta, hanno avuto l’occasione di prendere parola sul proprio vissuto. Anche questa una forma di partecipazione alla vita sociale e scolastica da promuovere e valorizzare. Perché «sapersi mettere nei panni dell’altro», ha spiegato la professoressa Lenzi, è il primo passo per condividere percorsi e progetti e imparare a fare comunità. Anche con chi, in Italia non è nato ma vuole viverci, condividendo sogni e talenti.
Una sfida per la società e la politica, a cui sono arrivate le sollecitazioni delle associazioni di insegnanti e genitori. «Dobbiamo puntare sulla formazione», ha sottolineato Angela Nava, presidente del Coordinamento genitori democratici. Che in un contributo sull’ultimo numero della rivista Articolo 33 rilancia la necessità di «un nuovo patto tra adulti» per superare quella «genitorialità fragile», che non aiuta il sistema a progredire e che, anzi, diventa spesso una zavorra per chi, invece, non ha perso la voglia di fare. Come Anna Guerrieri del coordinamento Care che riunisce le famiglie adottive e affidatarie, che non ha nascosto la fatica di rappresentare una minoranza. O una «irregolarità», come ha ricordato Gianfranco Goretti delle Famiglie Arcobaleno. «La differenza è una ricchezza educativa», ha ribadito. Invocando una «scuola più inclusiva» capace di «fare diventare regolari le irregolarità».
Una delle (tante) sfide che la scuola pone sul tavolo della politica, chiamata a collaborare con la società per una scuola della «meritorietà» più che del «merito», secondo la definizione di Valentina Aprea, politica di lungo corso in Forza Italia, già sottosegretaria all’Istruzione e assessora della Regione Lombardia. «Sono stufa di una scuola del merito che seleziona e premia chi è già bravo», ha sottolineato Aprea. Lanciando la proposta di una scuola più partecipata, una vera e propria «comunità di pratica», dove «si impara dai compagni». Una scuola con essenzialmente quattro parole d’ordine: fiducia, dialogo, responsabilità e rispetto. Questa l’idea di partecipazione di Irene Manzi, responsabile nazionale scuola del Partito Democratico. «Tutti dobbiamo sentirci responsabili del ben-essere di chi vive la scuola – ha sottolineato Manzi – lavorando insieme alla costruzione del dialogo, creando legami di fiducia tra famiglia e insegnanti».
L’approdo, in definitiva, è una scuola come «strumento di emancipazione umana», ha chiosato Giuseppe Buondonno, responsabile Scuola e università di Sinistra Italiana. Convinto che «rilanciare la partecipazione dei genitori nella scuola», sia utile per arrestare la deriva che li vede sempre più «clienti di un servizio» e non, invece, protagonisti di uno spazio di crescita decisivo per il futuro del Paese. Anche per questo, il Tavolo scuola famiglie in dialogo ha intenzione di presentare un documento programmatico al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Cinquant’anni dopo i Decreti delegati la partecipazione delle famiglie nella scuola riparte da qui.