Il centrodestra si aggiudica di “corto muso”, in questa partita autunnale delle amministrative, il primo set dei tre che saranno completati a metà mese da Emilia-Romagna e Umbria. Un risultato carico di significato, al di là del margine assai ristretto, per la Liguria e per i riflessi sul piano nazionale. Anche maggiori del solito, dato che – arrivati quasi a metà legislatura e scavallate le Europee – il quadro politico non presenterà altre elezioni “forti” prima del 2027.
Il risultato è una boccata d’ossigeno per Giorgia Meloni, che si può intestare il merito di aver imposto, su altri candidati meno forti, il nome di Marco Bucci (vincendo anche i dubbi sul suo stato di salute), sindaco di Genova, candidato simbolico per la ricostruzione del Ponte ex Morandi e atipico in quanto “civico”, forte di un apprezzamento trasversale. La coalizione supera così la bufera che ha travolto Giovanni Toti, per quanto chiusa solo con «uno scappellotto», per usare l’espressione usata dall’ex governatore. Certo, il vantaggio si è fatto esiguo rispetto all’oceano di 17 punti con cui Toti vinse nel 2020 e ciò una qualche riflessione la deve aprire. Ma un dazio da pagare alla tempesta giudiziaria/mediatica era ampiamente atteso, quel che conta è il risultato finale. Il centrodestra si dimostra solido, più forte anche di scandali e bufere, e svela che i tempi sono mutati da Mani pulite: il peso delle inchieste della magistratura (fatta la tara alle polemiche sul fatto che le iniziative dei giudici colpiscano soprattutto una parte) è oggi decisamente meno impattante. Più che lo sdegno per le vicende totiane, il corpo elettorale ha premiato un modello di centrodestra a cui evidentemente riconosce una capacità di buon governo, anche se colpisce l’andamento negativo di Bucci proprio nella sua Genova e nei capoluoghi (tranne che nella Imperia scajoliana). Questo al di là delle ricorrenti e tristi considerazioni sull’affluenza, crollata ben sotto il 50%.
Andrea Orlando ha sfoderato una prestazione dignitosa, ma davanti alla sconfitta questa attenuante regge relativamente. La realtà è che il campo progressista, non più “largo”, non correva per partecipare, ma puntava fortemente alla vittoria (secondo alcuni fino a un mese fa sarebbe stato avanti di 10 punti) in quello che una volta era un “feudo rosso” e per questo obiettivo aveva schierato un big, già ministro e personaggio di primo piano della politica nazionale. Elly Schlein si dibatte in una "sconfitta dolce", fra la contentezza per l’andamento ottimo della lista Pd, primo partito, e un ko finale che può divenire una mina anche per la sua leadership. La attendono prossime mosse determinanti, a partire dalla battaglia in Campania, dove De Luca è pronto a ribellarsi puntando al terzo mandato. E, soprattutto, la fatica enorme che aspetta Schlein nel costruire un’alleanza che oggi non è ancora tale e che, per divenire competitiva entro il 2027, deve darsi un assetto stabile e definitivo. Colpisce, in questa chiave, il fattore, che si è rivelato decisivo in Liguria, del crollo di M5s, dilaniato peraltro proprio in queste ore, con tempismo non felice, dallo scontro intestino tra il fondatore Grillo (ligure) e il presidente Conte. Il Movimento si è dimezzato in appena 4 mesi, dal 10,2% preso in regione lo scorso giugno a meno del 5 per cento. Si può pensare a una “vendetta” di Grillo (che non ha votato) sul territorio, contando sui suoi “fedelissimi”? Forse. Ma il dato ancor più saliente è che un Movimento ridotto ai minimi perde quella che era la sua peculiarità dei “tempi d’oro”: il saper strappare consensi anche nel campo avverso del centrodestra, una caratteristica basilare per un’alleanza che ha l’obiettivo minimo di recuperare terreno. Si discuterà ora sul veto messo da Giuseppe Conte all’allargamento a Matteo Renzi, il cui ritorno nel centrosinistra è stata la novità politica dell’estate. Il dossier sarà rispolverato da diversi, nella convinzione che nelle urne anche un 1/2% è decisivo (bisognerebbe poi verificare i voti allontanati invece da questa prospettiva).
L’attenzione si sposta ora sull’Emilia-Romagna, dove il centrosinistra è favorito, e soprattutto sull’Umbria, il cui esito farà pendere alla fine da una parte o dall’altra la bilancia di questa partita d’autunno. Ma l’impatto ligure conferma, comunque, una presa ormai radicata del centrodestra soprattutto nel Nord del Paese.