Il 19 novembre saranno trascorsi 1000 giorni dall’invasione russa dell’Ucraina. Ogni guerra moderna è iniziata con l’idea che sarebbe stata breve; ma per quasi tutte purtroppo così non è andata. Mosca ha dato avvio a quella che definisce “operazione militare speciale” pensando che sarebbe stata questione di pochi giorni o settimane. È sembrato in alcuni passaggi che fare affidamento su un’arma risolutiva o su una manovra militare decisiva, fosse la chiave per risolvere il conflitto rapidamente. In realtà l’idea che ci possa essere uno strumento militare in grado di condurre a una rapida conclusione di un conflitto, altro non è che una chimera. La guerra si autoalimenta. È noto quanto osservava già Karl von Clausewitz: «La guerra è un atto della violenza e non c’è limite alcuno al suo impiego. Dal momento che ognuno impone all’altro questa legge, ne nasce un’interazione che concettualmente conduce necessariamente all’estremo». Non si tratta di assumere queste parole come una legge deterministica, da applicare in modo meccanico. Tante sono le variabili della storia e i fattori che possono modificare il corso degli eventi. Tuttavia non si può non notare che questa dinamica bellica ha trovato spesso conferma nelle guerre moderne. E infatti, a mille giorni dall’inizio della guerra su larga scala in Ucraina, assistiamo sui fronti di combattimento a un crescente inasprimento dell’azione militare, così come i bombardamenti missilistici o di droni sulle città ucraine non sembrano diminuire di intensità, anzi. D’altro canto, seguendo la logica stessa delle strategie belliche, l’esercito ucraino ha realizzato a fine agosto l’offensiva nella regione russa di Kursk e ha aumentato e reso più incisive le incursioni aeree dei propri droni nel territorio della Federazione Russa.
1000 giorni di guerra. Non sono stati solo giorni di strategie militari, di campagne propagandistiche o di discussioni da remoto. Sono stati soprattutto giorni di un vissuto drammatico, in primo luogo per milioni di ucraini. Quante le vittime? Non si dispone di dati certi ed è difficile fare stime attendibili. L’Onu parla di 12.000 civili uccisi e segnala un sensibile incremento negli ultimi mesi. Secondo il Wall Street Journal assommerebbe a un milione di persone il numero di soldati, da entrambe le parti, morti o feriti. Chi ha avuto modo di ascoltare l’espressione piena di dignità del dolore di tanti ucraini sa bene che dietro queste cifre vi sono vite rubate, una grande sofferenza, famiglie colpite dalla violenza della guerra, feriti e mutilati, prigionieri.
La costante escalation provoca distruzioni di abitazioni, scuole, ospedali e infrastrutture. Il 65% della capacità di produzione di energia elettrica è stato colpito dagli attacchi missilistici. Le forniture di elettricità, e quindi di acqua e riscaldamento, sono in parte compromesse. Si annuncia l’inverno più duro dall’inizio della guerra, soprattutto per la popolazione che vive nelle regioni in prossimità del fronte. Ma non sarà facile nemmeno per i 3,6 milioni di sfollati interni. Aumenta la povertà. È stato stimato che siano più di 14 milioni le persone vulnerabili e bisognose di assistenza umanitaria, e tra loro quasi 3 milioni di minori. Dall’inizio dell’invasione la popolazione ucraina è diminuita di 10 milioni di persone: si calcola che in Ucraina vi siano oggi intorno a 30 milioni di persone. I profughi, in gran parte nell’Unione Europea, sono 6,7 milioni. Il popolo ucraino sta pagando un prezzo enorme e non si vede la fine della guerra.
1000 giorni di guerra in cui sembra essersi logorato drammaticamente il valore della pace. Prevalgono abitudine, senso di irrilevanza, rassegnazione. La pace appare come un’illusione, se non un cedimento. Eppure la ricerca di pace non è segno di debolezza, né di ingenua fantasia. È al contrario espressione di audacia di chi sente il morso della storia e si sporca le mani con la realtà. È, al di là di ciò che può sembrare, manifestazione di realismo. Il realismo di chi conosce il vissuto della guerra e ascolta il grido di pace che proviene dalle vittime. Non si può restare inerti di fronte alla guerra. C’è bisogno di un sussulto di empatia e di responsabilità, per risparmiare altre sofferenze all’Ucraina e per evitare l’allargamento del conflitto. Non è questione di trovare una formula magica per risolvere il conflitto, ma di spendere energie in una ricerca che richiede fatica, intelligenza, pazienza. È il tempo di un grande investimento in diplomazia, in politica. Alcuni segnali e movimenti diplomatici nelle ultime settimane lasciano intravedere l’apertura di qualche spiraglio. C’è bisogno di percorrere con coraggio e creatività vie diplomatiche, di dialogo. Anche a costo di rischiare incomprensioni o possibili strumentalizzazioni. Occorre aprire e tenere aperti canali di comunicazione. È indispensabile un impegno volto a stabilire contatti. La pace è sempre più urgente.
1000 giorni di guerra, in cui prioritario è stato l’impegno umanitario. È la prima risposta perché la guerra non vinca. È il sostegno concreto, diretto, al popolo ucraino, oggi ancora più necessario. L’impoverimento della popolazione e le sofferenze provocate dalla guerra lo rendono impellente. È fondamentale per sostenere la resilienza del popolo ucraino mentre la guerra continua. L’umanitario sarà uno dei fronti decisivi per la ricostruzione del Paese devastato dal conflitto, per riparare il tessuto lacerato della società ucraina. Investire sull’aiuto alla popolazione vuol dire già da oggi iniziare a costruire la pace.
La solidarietà umanitaria è un inizio di guarigione dalle ferite, aiuta a realizzare spazi di pace, a liberare dalla violenza, dall’odio, dalla disumanità. Ma anche la diplomazia umanitaria, che genera fiducia in entrambe le parti, si rivela come una via importante per aprire porte, stabilire contatti, provocare l’immaginazione feconda della pace. In questa direzione si muove la missione affidata da papa Francesco al cardinale Zuppi. Perché c’è bisogno non solo di ragionamenti strategici e pressioni politiche, ma anche dell’autorevolezza morale di chi, in nome di una passione disinteressata per l’umanità, di una solidarietà concreta e gratuita, susciti pensieri creativi e sostenga i passi iniziali, incerti e zoppicanti, di un percorso che conduca alla pace.