Le recinzioni al confine. Nell’Europa che teme l’arrivo di una massiccia ondata di rifugiati afghani, vengono piantati altri pali d’acciaio per chilometri, issando barriere anti-migranti che stanno trasformando i confini esterni in una trappola di aculei.
La guerra sui tre confini si combatte anche a colpi di ansiolitici somministrati dall’esercito bielorusso ai bambini migranti. Nella terra di nessuno tra Lituania, Polonia e Bielorussia capita che i militari di Vilnius debbano affidare ai rianimatori qualche piccolo profugo. «Hanno dato a noi e ai nostri figli delle pillole», raccontano nell’ospedale di Kabeliai i genitori iracheni. Non erano vitamine per sopportare il freddo. Anche se di freddo si muore: almeno 5 le vittime accertate finora, ma di decine di persone disperse nei boschi non si sa più nulla. Distribuiti dai militari bielorussi in dosi sconsiderate per grandi e piccoli, i tranquillanti assicurano che gli stranieri spinti armi in spalla dai corpi speciali non comincino a piangere nel bel mezzo del bosco, di notte, dove la Lituania sorveglia la frontiera con droni e sensori nascosti tra gli alberi. Quando colti sul fatto, comincia la sceneggiata: le forze bielorusse accendono le videocamere e spingono i migranti verso le pattuglie lituane disposte per impedirne il passaggio. Al resto pensa la propaganda di regime, che mostrerà il volto spietato dei Paesi Ue, senza cuore nemmeno davanti ai bimbi. Anche con queste "munizioni" il dittatore bielorusso Lukashenko sta tentando di far saltare i nervi a Polonia e Lituania come rappresaglia per le sanzioni dell’Unione Europea al regime di Minsk.
Bisogna attraversare più volte i tre confini per farsi un’idea delle rispettive parti in tragedia. Vilnius parla di "aggressione ibrida". «Abbiamo a che fare con un’azione di massa organizzata e ben diretta da Minsk e Mosca», rincara il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki. Secondo Varsavia, a partire dal mese di agosto oltre 7mila migranti e profughi hanno tentato di varcare il confine. Oltre 4mila nella sola Lituania. Fatte le debite proporzioni (38 milioni sono gli abitanti in Polonia, meno di 2,8 i lituani) si capisce come questi numeri possano essere usati per suscitare allarme. Nell’Europa che teme l’arrivo di una massiccia ondata di rifugiati afghani, vengono piantati altri pali d’acciaio per chilometri, issando barriere anti-migranti che stanno trasformando i confini esterni in una trappola di aculei. Il "muro polacco" è alto fino a 4 metri, una recinzione simile a quella eretta dall’Ungheria di Orbán nel 2015. Varsavia schiera circa mille uomini in appoggio alle guardie di frontiera lungo i 400 chilometri, in gran parte foresta, che separano i due Paesi. La linea di demarcazione tra Lituania e Bielorussia è una continua serie di tornanti, colline, fossati, campi arati per 678 chilometri. Anche qui è in costruzione una barriera, mentre 258 chilometri vengono monitorati elettronicamente.
Con l’invio di migranti «Lukashenko sta cercando di destabilizzare l’Ue, usando gli esseri umani in un atto di aggressione», va ripetendo la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson. Venerdì sono arrivati nella capitale lituana 29,6 milioni di euro sui 37 stanziati dalla Commissione europea per aiutare il Paese ad affrontare l’arrivo di profughi. In gran parte si tratta di iracheni e siriani, ma stanno aumentando le domande d’asilo di afghani e perfino indiani e srilankesi. Dal Baltico a Kabul o Karthum sono oltre 5mila chilometri di odissea. Eppure sudanesi e afghani arrivano fino a qui. Le testimonianze raccolte dalle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite confermano come negli ultimi mesi siano stati agevolati, qualche volta anche in aereo, i viaggi dall’Oriente verso la Bielorussia. Una volta finiti nel limbo di Minsk, i profughi riappaiono lungo i sentieri che s’infrangono contro le reti metalliche finanziate da Bruxelles. Chi riesce a guadagnare il suolo della Ue dovrà affrontare altri disagi, e il rischio di una deportazione con volo diretto verso il Paese d’origine.
Non tutti vogliono fermarsi dalle parti di Vilnius e c’è chi teme di restare prigioniero del regolamento di Dublino, che non offre scelta: o si presenta domanda d’asilo e si rimane in attesa obbligatoriamente nel Paese Ue di primo ingresso, oppure si è condannati alla clandestinità. I due iracheni Mohamad Wasim Hamid e Hamza Hayek Mahmud erano arrivati in Lituania dalla Bielorussia nella serata del 29 luglio, ma non hanno chiesto protezione internazionale. Avevano in mente di raggiungere la Germania o la Scandinavia. Pochi giorni fa sono stati condannati a 45 giorni di detenzione e verranno avviate le procedure per il rimpatrio. Dovranno attendere in un centro di accoglienza. In realtà, si tratta di accampamenti per la detenzione sorvegliati da militari incappucciati che perlustrano i dintorni con la mano sulla fondina. A Vilnius hanno riaperto un vecchio edificio abbandonato sulla collina dietro la linea ferroviaria. Il muro di cinta impedisce di vedere all’interno, ma chi riesce a visitarlo non ne è uscito contento. Lo stesso nelle tendopoli militari dove i profughi già fanno i conti con l’anticipo del sottozero invernale.
Già alcuni morti tra iracheni, siriani e afghani spinti nei boschi dalla Bielorussia
e respinti o male accolti da Polonia e Lituania. Ritorsione contro le sanzioni Ue
L’ufficio statale del Difensore civico lituano non l’ha presa bene. Giovedì ha pubblicato un rapporto sulle condizioni di vita «disumane e degradanti» affrontate dai migranti irregolari. Le persone dormono in stanze umide, fredde e affollate. Mancano di cibo adeguato, acqua calda a sufficienza e farmaci. Il ministero dell’Interno ha rilasciato un commento, spiegando di non aver ancora letto il rapporto, ma «alcuni estratti pubblicati dai media portano alla conclusione che le informazioni contenute siano obsolete». Per il Difensore civico, «le condizioni di detenzione dei migranti irregolari in Lituania» sono un «trattamento disumano proibito dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti».
Il 22 settembre quattro profughi sono morti di freddo e stenti sul confine tra Bielorussia e Polonia. Una quinta persona è deceduta poco più a Nord, dopo essere riuscita a raggiungere la Lituania. Ma per la fondazione umanitaria polacca Ocalenje le vittime potrebbero essere di più. Nella foresta di Usnarz Górny da quasi due mesi una trentina di persone vivono nascoste. Ma da diversi giorni si è perso ogni contatto con le persone incastrate tra la boscaglia sul lato di Minsk e il reticolato polacco. Altri 8 migranti oramai incapaci di muovere un solo passo sono stati soccorsi dopo essere sbucati in una zona paludosa e 7 sono stati portati in un ospedale polacco oramai in gravi condizioni. «Da tempo avevamo avvertito le autorità – ricorda Piotr Bystrianin, di Ocalenje – che se le guardie di frontiera non avessero smesso di respingere le persone senza neanche ascoltare la loro richiesta di protezione umanitaria, presto avremmo dovuto affrontare delle tragedie». E l’inverno non è ancora iniziato.
IL VIDEO
Al confine tra Lituania e Bielorussia, i profughi intrappolati dalle due polizie. I militari bielorussi schierati sullo sfondo spingono i profughi verso la Lituania che a sua volta tenta di respingerli.