sabato 9 marzo 2013
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L’attenzione riservata in questi giorni dai mass-media alle vicende interne della Chiesa, al suo massimo livello, è del tutto comprensibile ma non può non lasciar pensare. Perché dall’insieme degli interventi – molti dei quali animano un chiacchiericcio inutile, altri invece risultano essere più meditati e costruttivi – sembra di cogliere che gli operatori della comunicazione vengono spesso a leggere temi e problemi della comunità cattolica e della istituzione ecclesiastica con lenti inadatte, quando non deformanti. Riflessioni già sviluppate su queste pagine hanno sottolineato come, in sostanza, emerga una diffusa – ancorché, per fortuna, non generale – tendenza a interpretare le vicende interne della Chiesa secondo categorie magari sofisticate, ma elaborate per capire la società civile, o meglio ancora secondo schemi interpretativi della politica. Arrivare a ridurre i fatti in termini di potere, di parti, di correnti, di interessi finanziari, di lotte intestine significa infatti concepire la comunità ecclesiale come una qualsiasi istituzione politica o, addirittura, come una multinazionale, con le fisiologie che queste realtà presentano e le patologie che possono manifestare. Ma è evidente che applicare i canoni interpretativi della politica o della vita economica a una realtà che è diversa, profondamente diversa, significa da un lato avere una falsata rappresentazione di questa e, al contempo, trasmettere all’opinione pubblica una immagine lontana dal reale. E ciò, anche a prescindere da qualsiasi dietrologismo, cioè dal sospetto – che qui non vogliamo assolutamente avanzare – della sussistenza di una lucida e determinata volontà di presentare una raffigurazione diversa delle cose. Non se ne fa dunque una colpa, né si vuol addebitare qualcosa a qualcuno; ma ciò non toglie il rammarico di vedere in tanti casi l’incapacità di cogliere il proprio di una realtà profondamente eterogenea rispetto alle cose mondane. Evidentemente anche la Chiesa, nella sua dimensione storica di comunità di uomini, conosce in ciò che non è di fede, o che non attiene all’inderogabilità dei princìpi morali, diversità di opinioni, visioni diverse del modo con cui concretamente perseguire il mandato affidatole, diverse modalità di reagire alle provocazioni che la modernità le rivolge o di accogliere le istanze che da questa vengono, differenti valutazioni attorno a ciò che è più o meno opportuno, scelte tra varie strategie d’azione, valutazione sugli uomini più idonei a determinati uffici. La Chiesa, ben al di là della percezione che molti ne hanno, non è mai stata un monolite assolutistico ma è segnata da una pluralità di istanze collegiali ed elettive: il suo stesso capo supremo, il Papa, è eletto. E non è un caso che nell’età medievale siano stati proprio i canonisti, per le esigenze interne all’istituzione ecclesiastica, a trovare le ragioni di legittimazione del principio maggioritario, quale strumento di formazione della volontà nelle assemblee. Ma le differenze con le realtà mondane fanno aggio su qualsivoglia analogia. Il fine della Chiesa è spirituale, non temporale; il suo non è un potere politico o economico, ma un servizio; la sua forza è una croce dalla quale, lo si è visto proprio in questi giorni, comunque non si discende. Davvero uno dei problemi della Chiesa nel mondo contemporaneo è la difficoltà di dialogo con un potere in continua ascesa: quello massmediale. E non solo perché essa non riuscirebbe a farsi sempre comprendere negli odierni "linguaggi"; ma anche, reciprocamente, perché i mezzi di comunicazione sociale, che di tali linguaggi sono i principali facitori, hanno frequenti e oggettive difficoltà a cogliere la verità della Chiesa.
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