Per una volta siamo primi in Europa a varare una norma di civiltà che apre il muro della Fortezza Europa ai più vulnerabili, i minori.
Non si parla solo di 16enni, sui gommoni e sui barconi vengono ormai salvati anche 12-13enni che affrontano i terribili rischi dei 'viaggi della speranza' senza genitori né adulti di riferimento. Le loro famiglie preferiscono sapere che stanno rischiando la vita in una traversata di sabbia e acqua in balìa dei trafficanti, ma con la chance di avere un futuro piuttosto che vederli sfiorire nel nulla di un campo profughi o nella miseria. I dati parlano da soli.
Nel 2016 più di 25.800 minori, tra cui anche bambini con meno di dieci anni di età, sono arrivati in Italia via mare soli, più del doppio rispetto al 2015 quando erano stati 12.360. Da inizio dell’anno, secondo le stime di Save the Children, sono giunti oltre 3.360 minori, di cui almeno 3.000 non accompagnati. Uno ogni sette sbarcati ha meno di 18 anni. Da ieri l’Italia li adotta e offre loro una tutela e una possibilità per formarsi, imparare un lavoro e poi lavorare qui o tornare a casa con un’istruzione negatagli dal proprio Paese. Le nuove regole stabiliscono anche la possibilità per i minori soli di rimanere in affido ai servizi sociali fino a 21 anni, premiando chi ha intrapreso percorsi di formazione e integrazione. Finora a 18 anni si rischiava di dover interrompere a metà proficui percorsi. Inoltre si istituisce per ogni Tribunale per i minorenni un elenco di tutori volontari. Tutte alternative concrete alla fuga dalla comunità verso un limbo pericoloso.
Se infatti un quarto di loro l’anno scorso è sparito, non sappiamo quanti abbiano raggiunto i parenti all’estero e quanti invece siano finiti nella rete dello spaccio, della criminalità e della prostituzione. Questo ha trasformato il problema in una emergenza umanitaria che l’Italia inizia per prima ad affrontare nel Vecchio Continente. Con il rischio di diventare meta preferita anche dei minori non accompagnati che non saranno più solo di passaggio diranno gli appassionati di fake news, i nemici dei 'buonisti' (e dei buoni). Noi continuiamo a pensare invece che un grande Paese non ha paura delle sfide e la sua grandezza si vede da come le affronta, affiancando al realismo la saggezza.
Anche la sfida dell’accoglienza, che non deve diventare un business sulla pelle dei poveracci pagato dai contribuenti – ovvio –, ma che non è certo una sfida perduta. Sarebbe ingiusto pensarlo, soprattutto perché sui nostri territori, nella concreta vita di ogni giorno, sono tante le esperienze positive. Lo stesso iter della legge, che segna una vittoria storica di una società civile molto avanzata, è esemplare. La norma è stata voluta e sostenuta da associazioni e organizzazioni per la tutela l’infanzia e dei diritti umani, a cominciare da Save the Children – all’origine dell’iniziativa legislativa – per proseguire con Caritas, Unicef, Terre des Hommes, Unhcr, Intersos, Sant’Egidio, Emergency, Oxfam, Cir, Cnca, Anci, Aibi.
Ha poi trovato sostegno dal mondo della giustizia, a cominciare da Anm fino ai giudici minorili, dagli assistenti sociali, dalla garante dell’infanzia. E l’elenco dimentica certamente qualcuno. Questa pressione 'dal basso' è stata intercettata e capita dalla politica. Non a caso la legge è stata voluta con caparbietà da donne parlamentari capaci di portare consenso e vincere con pazienza le diverse resistenze. Non ci sono vincitori né vinti, è stata una vittoria di tutto il Parlamento. Per una casualità, l’approvazione arriva il giorno dopo il richiamo del Consiglio Onu per i diritti umani al Belpaese su diversi temi (molti discutibili), tra cui proprio quello dell’accoglienza dei minori. La legge dimostra che su questa materia non abbiamo bisogno di insegnamenti e siamo in grado anzi di fare da apripista verso un’Europa troppo spesso chiusa e sorda, come dimostrano i respingimenti di ragazze e ragazzi fatti alle nostre frontiere da Francia e Svizzera. Avvenire ha sostenuto la battaglia per fare approvare questa buona legge. E lo spirito e lo stile con cui è stata condotta. Ora occorre lo stesso spirito unitario e lo stesso stile civico per varare finalmente la riforma sulla cittadinanza che farà diventare italiani a tutti gli effetti le bambine e i bambini e che stanno crescendo con i nostri figli nelle scuole di tutti gli italiani, vecchi e nuovi, e vogliono costruire il loro futuro in questo Paese. Un Italia, oggi possiamo dirlo, che sa ancora essere grande con i piccoli.