Abbiamo gettato le reti televisive e mediatiche e la prima impressione è che non abbiamo preso nulla, per cui dopo giornate di esposizione mediatica di papa Francesco e del papa emerito Benedetto, ci ritroviamo a mani vuote. Ma siamo sicuri che è proprio così? Gesù ha promesso di fare di Pietro il «pescatore di uomini», ma se noi interpretiamo questa parola, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, nel senso del proselitismo, penso che siamo fuori strada e di molto. Questo messaggio del Maestro, invece, ci interpella e ci nutre se lo interpretiamo nel senso che Pietro deve essere pescatore di umanità. Il primo significato che ci viene in mente è quello enunciato da papa Paolo VI, per il quale la Chiesa è maestra di umanità a prescindere sia dalle sue fragilità che dal contesto in cui vive e si esprime.
La rete gettata da papa Francesco nella sua esposizione televisiva, accolta e discussa in maniera differenziata, è stata quella di una presenza desacralizzata, ma fin troppo umana, che ha aperto spiragli sulla sua esistenza, ma anche sul suo servizio alla Chiesa in questo nostro tempo. E non è vero, come suggeri- to da alcuni, che il suo discorso sia stato solo 'orizzontale'. Nel mettere in guardia – forse con parole che in televisione possono sembrare fuori luogo – dai rischi del 'pelagianesimo' e dello 'gnosticismo' ha messo il dito nella piaga di questo sistema di pensiero occidentale che riconduce alla volontà di potenza dell’umana conoscenza (= gnosi) e del libero arbitrio (= pelagianesimo) la possibilità della salvezza, che invece risiede nell’affidamento, ovvero nell’abbandono fiduciale al Dio di Gesù Cristo. La rete dell’autocoscienza e dell’espiazione per abusi sessuali compiuti nella Chiesa di Monaco e Frisinga, in quella che era stata mezzo secolo fa la sua diocesi, che ha imbrigliato papa Benedetto in fondo ha raccolto la stessa umana contingenza, nel presentarsi di una figura apicale della Chiesa cattolica degli ultimi decenni, in tutta la sua fragilità e nel riconoscimento del fatto che chiunque può errare, nel corso del suo cammino. Riconoscere l’erranza e ritrovare la rotta è un impegno non solo della persona, ma dell’intero corpo ecclesiale.
E in questo senso la martyria/testimonianza, di cui possiamo solo lontanamente percepire la fatica, non può non trasformarsi in impegno concreto e strutturale perché si riconoscano le responsabilità, si confidi nella misericordia divina, ma al tempo stesso - ovunque, in Germania come in Irlanda, negli Usa come in Italia - si inverta la tendenza delle «strutture di peccato», perché diventino di redenzione. Senza Gesù, Pietro e i suoi compagni raccolgono solo una rete vuota, tanto frustrante, quanto affaticata. Un’esposizione televisiva che potrebbe stringere fra le mani solo l’effimero di qualche prima pagina successiva, oppure una gogna televisiva, che dividerebbe chi si straccia le vesti per l’affronto da chi punta il dito e ne fa occasione per gettare fango sulla comunità dei credenti nel Signore Gesù. Con Lui raccogliamo e conserviamo tesori preziosi di umanità in entrambe queste occasioni e, a nostra volta, ne facciamo tesoro. Finché nella Chiesa e nella società emergono persone come loro, Francesco e Benedetto, al pari di quanto avvenne all’epoca dei Santi di cui portano il nome, certamente ce la possiamo fare, perché lo Spirito continua ad animare e guidare la comunità credente, spesso anche a sua insaputa. La semplicità delle fede del popolo di Dio saprà certo cogliere questi frammenti di umanità e farli propri, mentre le acque intorno sono agitate da venti distruttivi dell’umano, che il Vangelo sempre e comunque custodisce e annuncia.