sabato 6 giugno 2015
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Sarajevo dopo Tirana e, se vogliamo, Istanbul e Ankara. Guardando alle città meta delle rotte "europee" del Papa un dato emerge subito con particolare evidenza. Francesco (che pure si è recato nel novembre scorso a Strasburgo, centro istituzionale e politico dell’Unione) sembra voler marcare soprattutto le periferie del Vecchio Continente. E tra le diverse periferie possibili, mostra di preferire le realtà dove in maggiore misura si vive il confronto tra popoli di cultura diversa e, in modi diversi, se ne sperimentano le difficoltà grandi e piccole. Le brevi ma intense ore di permanenza nella capitale bosniaca rafforzano questa sensazione, perché dalla «Gerusalemme d’Europa» non viene solo l’accorata invocazione – «mai più la guerra» – di un Pontefice che sta lottando con tutte le sue forze per contrastare la saldatura del terzo conflitto mondiale «a pezzi» (anche ieri evocato) e la strisciante deriva dello scontro di civiltà. Nella città ancora segnata dalle recenti profonde ferite Francesco ha detto e fatto molto di più, in sostanza consegnando all’Europa smarrita e divisa di oggi, e in generale alla comunità internazionale, l’indicazione di un percorso virtuoso verso l’incontro con l’altro, cioè verso una pace non solo proclamata, ma vissuta nella quotidianità, perché costruita con mani e cuore di «artigiano», alimentata con la speranza che ha colto negli occhi dei giovani e dei bambini – anche questo un momento estremamente significativo della visita – e soprattutto consolidata con l’impegno di chi «ha imparato la lezione» e sente «di avere davanti il tempo della ragione e della riconciliazione» (come ha sottolineato l’attuale presidente della presidenza collegiale bosniaca, il serbo Mladen Ivanic). In sintesi, si può dire che papa Bergoglio ha offerto a un Continente talvolta più incline a parlare di eutanasia e unioni civili, piuttosto che di solidarietà, la chiave di un futuro davvero "progressista". Non deve sfuggire infatti da un lato la sua sottolineatura della piena appartenenza della Bosnia-Erzegovina all’Europa (anche se attualmente il Paese è fuori dalla Ue, esso è «parte integrante del continente»). E dall’altro il fatto che – proprio come l’Albania, visitata a settembre – si tratta di una realtà multienica, con una forte presenza musulmana. Anche in questo caso, dunque, il messaggio è chiaro. Bisogna imparare a vivere insieme. Nella pace e nel rispetto reciproco. E Sarajevo (come Tirana) rappresentano la prova di fronte al mondo intero «che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire». In un certo senso, dunque, il Papa sta visitando i laboratori europei di pacifica anche se non sempre facile convivenza. Luoghi, come ha detto, in cui «la diversità non è una minaccia, ma una ricchezza e un’opportunità per crescere insieme». E li mette sotto gli occhi di tutti come antidoto «alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate». Nel contempo, all’Europa incapace di assumere posizioni univoche non solo per contrastare la minaccia terroristica dell’autoproclamato e bellicoso "Stato islamico", ma anche di fronte al grido di dolore di quanti attraversano il Mediterraneo per scampare alla guerra e alla povertà, ricorda che una città come Sarajevo costituisce «un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili». Una terza via non esiste. O l’Europa imparerà ad accogliere questa diversità, integrandola in un sistema di autentici valori umani, o si troverà a fare i conti sempre più con problemi di cui le rivolte delle "banlieue" parigine sono solo i sinistri prodromi. Se si vuole, inquietanti segnali in tal senso vengono dalla stessa Sarajevo, dove i cattolici (proprio come avviene a Gerusalemme e in Terra Santa) vedono progressivamente assottigliare il proprio numero. Anche e soprattutto per dimostrare loro la sua vicinanza di padre il Papa ha compiuto ieri il suo viaggio. Perché dove ci sono cittadini considerati di serie A e di serie B la pace non può durare a lungo. Un altro monito risuonato chiaramente durante la visita e che non bisogna dimenticare.
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