Due parole rivelatrici
mercoledì 19 aprile 2023

Meglio dirselo chiaro e tondo: da sostituire una volta per tutte anche nel nostro Paese, e forse soprattutto nel nostro Paese che invecchia e si fa più sospettoso, è la “retorica dell’invasione” e il persino inconsulto lessico che ne discende.

Altrimenti continueranno a fiorire all’improvviso – anche sulla bocca di personalità politiche abili e attente – espressioni come quella esplosa ieri in un discorso di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare: sostituzione etnica.

Già, sostituzione etnica. Due parole che, prese separatamente, non dicono nulla di necessariamente scandaloso, ma che messe insieme e collegate senza neanche bisogno di sottolinearlo, in modo drammaticamente scontato, al tema delle migrazioni umane e del crescente meticciato nel villaggio globale del mondo, condensano tutta una serie di pensieri respingenti, xenofobi e apertamente razzisti. Sostituzione etnica, ovvero l’evocazione di un complotto o comunque di un progetto, per cancellare un popolo e la sua storia attraverso l’insediamento di invasori “alieni”, è un concetto semplicemente e duramente agli antipodi dell’umanesimo fraterno cristiano, della civiltà europea e dei valori di solidarietà e di pace sui cui da tre quarti di secolo abbiamo cercato di costruire almeno nel nostro continente, dopo l’immane tragedia bellica e gli stermini che annerirono e insanguinarono il cuore del Novecento, una società a misura d’uomo e di donna.

Di ogni uomo e di ogni donna. Con un’idea di dignità e di cittadinanza che non contempla in alcun modo la possibilità di discriminare ed escludere in base al colore della pelle, al luogo di nascita, alla tradizione culturale e religiosa di riferimento, alla condizione sociale ed economica di partenza.

Sostituzione etnica. Due parole innocenti che, come certi elementi chimici quando vengono mescolati, possono però diventare pericolose e rivelatrici. Sino a fare a pezzi - il ministro Lollobrigida lo ha sperimentato proprio ieri sulla sua pelle - il senso utile di altri ragionamenti e impegni declinati dopo il concetto-bomba da chi quelle parole pronuncia (con enfasi o lasciandosele scappare). E sino a illuminare, nel lampo rabbioso della detonazione, la lunga catena di altre parole inaccettabili e di conseguenti azioni e omissioni (anche di soccorso di esseri umani in difficoltà) che hanno costellato gli ultimi due decenni europei e italiani (ma anche americani e asiatici e africani) e che da queste colonne di giornale, senza sosta e senza esitazioni, continuiamo a denunciare. Non limitandoci mai alla sola denuncia, ma indicando – in ascolto dello stato di necessità delle persone profughe e migranti e con altrettanta attenzione alla realtà dei Paesi coinvolti, a cominciare dal nostro – percorsi e pratiche di inclusione, di incontro, di cooperazione e di costruzione comune di futuro. L’abbiamo fatto con politici e governi italiani (e no) di diverso colore, e continueremo a farlo. Nulla ci fa velo se non il dolore per ogni ingiusta sofferenza inflitta – a causa di pregiudizi e calcoli senza umanità e senza pudore – a uomini e donne “colpevoli” di essere poveri, un po’ diversi da noi e per differenti motivi costretti a cercare sicurezza, lavoro e pace lontano dalla terra natia.

Sì, c’è da sostituire un intero lessico, e il pensiero – se si può chiamar così – che lo precede e lo rende tossico. Anche quello che si è fatto, qui da noi, ingiusta e sempre più inadeguata legge: la vecchia e sbagliata Bossi-Fini. Se si sarà capaci di questo, vorrà dire che questo Paese ha cominciato a ritrovare il senso di sé, della sua vera cultura e del suo avvenire. E magari che avremo capito che i figli si generano mettendoli al mondo con speranza, e accogliendoli con fiducia e regole umane, salde, civili.

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