Papa Wojtyla aggiunse ai Santi Benedetto, Cirillo e Metodio, tre copatrone: le Sante Brigida di Svezia, Caterina da Siena e Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, filosofa ebrea convertitasi al cattolicesimo e uccisa dai nazisti ad Auschwitz. Nell’opera di Domenico Beccafumi (in foto) Santa Caterina da Siena, co-patrona d’Europa
È certamente sbagliato strumentalizzare la fede religiosa ai fini di propaganda politica ed elettorale, ed è contraddittorio fare della cattolicità (che vuol dire universalità) un emblema di partito (che vuol dire parte), ma può essere davvero significativo invocare, oggi, nell'imminenza delle elezioni del Parlamento europeo i Santi Patroni d’Europa.
Com’è noto, vent’anni fa, san Giovanni Paolo II aggiunse a tre uomini del primo millennio, san Benedetto e i santi Cirillo e Metodio, tre donne del secondo millennio cristiano e cioè santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e la contemporanea santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, filosofa ebrea convertitasi al cattolicesimo e uccisa dai nazisti ad Auschwitz. Nel suo Motu proprio, Giovanni Paolo II parlava dell’attualità di questa santa: «Ella fece propria la sofferenza del popolo ebraico, a mano a mano che questa si acuì in quella feroce persecuzione nazista che resta, accanto ad altre gravi espressioni del totalitarismo, una delle macchie più oscure e vergognose dell’Europa del nostro secolo. […] Noi guardiamo oggi a Teresa Benedetta della Croce riconoscendo nella sua testimonianza di vittima innocente, da una parte, l’imitazione dell’Agnello Immolato e la protesta levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della persona, dall’altra, il pegno di quel rinnovato incontro di ebrei e cristiani, che nella linea auspicata dal Concilio Vaticano II, sta conoscendo una promettente stagione di reciproca apertura. Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d’Europa significa porre sull'orizzonte del Vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, per formare una società veramente fraterna». Ecco allora l’indicazione fondamentale: un’Europa in cui è sempre desta la coscienza anti-totalitaria e anti-nazista ed un’Europa che si costruisca sul rispetto, sulla tolleranza e sull’accoglienza.
Sappiamo che uno dei grandi temi del dibattito che ha preceduto queste elezioni europee è stato l’atteggiamento da assumere verso l’immigrazione. Come si coniugano allora rispetto, tolleranza e accoglienza in questo campo? Ce lo dice l’ininterrotto insegnamento pontificio: da Paolo VI, a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI, a Francesco. Ma possiamo limitarci a richiamare qualche passaggio del magistero di colui che più lo affrontò (con numerosi testi), perché il problema emerse drammaticamente soprattutto durante il suo pontificato: san Giovanni Paolo II, che viene talvolta citato senza però conoscerne il pensiero e per affermare l’opposto di quello che egli diceva.
Bastino dunque alcuni richiami: «Lo Stato deve essere garante della parità di trattamento legislativo e deve perciò tutelare la famiglia emigrata e profuga in tutti i suoi diritti fondamentali, evitando ogni forma di discriminazione nella sfera del lavoro, dell’abitazione, della sanità, dell’educazione e cultura» (15 agosto 1986). «Per molti dei nostri fratelli la migrazione, che era un cammino di speranza, si trasforma in un percorso irto di difficoltà e di amare disillusioni. Delle frontiere si chiudono davanti a loro, delle legislazioni si induriscono fino a comportare rifiuti infinitamente dolorosi, a mantenere separate delle famiglie, a creare dei veri apolidi. Oppure, entrati talvolta clandestinamente, gli immigrati si ritrovano sfruttati, essendo il loro lavoro mal retribuito, le loro condizioni di vita e di soggiorno per molto tempo precarie. Ricorderò qui ciò che scriveva il mio predecessore Paolo VI a proposito dei lavoratori immigrati: 'E urgente che si sappia superare nei loro confronti un atteggiamento strettamente nazionalista per dar loro uno statuto che riconosca un diritto all’emigrazione, favorisca la loro integrazione, faciliti la loro promozione professionale e permetta loro l’accesso a un alloggio decente, nel quale possano raggiungerli, se è il caso, le loro famiglie' (Octogesima adveniens, 17)» (5 luglio 1990). E quando il problema si faceva più grave, il 25 luglio 1995, con molta chiarezza san Giovanni Paolo II insegnava: «Gli Stati tendono per lo più a intervenire mediante l’inasprimento delle leggi sui migranti e il rafforzamento dei sistemi di controllo delle frontiere e le migrazioni perdono così quella dimensione di sviluppo economico, sociale e culturale che storicamente possiedono. […] La necessaria prudenza che la trattazione di una materia così delicata impone non può sconfinare nella reticenza o nell’elusività; anche perché a subirne le conseguenze sono migliaia di persone, vittime di situazioni che sembrano destinate ad ag- gravarsi, anziché a risolversi. La condizione di irregolarità legale non consente sconti sulla dignità del migrante, il quale è dotato di diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati. […] Quando la comprensione del problema è condizionata da pregiudizi ed atteggiamenti xenofobi, la Chiesa non deve mancare di far sentire la voce della fraternità, accompagnandola con gesti che attestino il primato della carità. […] la Chiesa è il luogo in cui anche gli immigrati illegali sono riconosciuti ed accolti come fratelli. È compito delle diverse diocesi mobilitarsi perché queste persone, costrette a vivere fuori dalla rete di protezione della società civile, trovino un senso di fraternità nella comunità cristiana. La solidarietà è assunzione di responsabilità nei confronti di chi è in difficoltà. Per il cristiano il migrante non è semplicemente un individuo da rispettare secondo le norme fissate dalla legge, ma una persona la cui presenza lo interpella e le cui necessità diventano un impegno per la sua responsabilità. 'Che ne hai fatto di tuo fratello?' (cfr Gv 4, 9).
La risposta non va data entro i limiti imposti dalla legge, ma nello stile della solidarietà. […] 'Questa gente che non conosce la legge è maledetta' (Gv 7, 49), avevano sentenziato i farisei riferendosi a coloro che Gesù soccorreva anche oltre i limiti stabiliti dalle loro prescrizioni». Certo, per una grande Europa che si metta decisamente su un cammino di solidarietà internazionale, di giustizia mondiale e di carità universale non basta un rinnovamento radicale della politica, che pure auspichiamo con decisione, ma ci vuole una vera conversione dei cuori. È giusto allora affidare i cuori degli europei al Cuore Immacolato di Maria, cioè a Colei che è «icona vivente della donna migrante. Ella dà alla luce suo Figlio lontano da casa (cfr. Lc 2,1 7) ed è costretta a fuggire in Egitto (cfr. Mt 2,13 14). La devozione popolare considera quindi giustamente Maria come Madonna del cammino » (Istruzione Erga migrantes caritas Christi del 3 maggio 2004). È questo il cammino cristiano che bisogna augurare all'Europa e augurarsi in Europa, fuori da contraffazioni propagandistiche e blasfeme, e pregando amorevolmente per i contraffattori: affinché – per il bene loro e di tutti – pratichino il Vangelo che dicono di aver caro.