Convergenze di necessità
mercoledì 23 novembre 2022

Arrivano due segnali importanti dall’attuale “forma” di una Manovra di bilancio per il 2023 che, al solito, arriverà al traguardo ulteriormente levigata e modificata dal dibattito in corso tra partiti e forze sociali nel Paese. Il primo e più importante è che la contrapposizione tra tesi del governo e antitesi dell’opposizione su temi di bandiera aiuta, in più di un caso, a produrre sintesi maggiormente ragionevoli. Il secondo è che tutto questo al dunque, e sotto i vincoli comunitari sulla stabilità di bilancio, produce differenze non così rilevanti tra maggioranza e opposizione. In campagna elettorale le contrapposizioni sono state nette, polarizzando elettorato e consensi, ma se avessimo sottoposto a una giuria la Manovra come presentata nella forma attuale molti avrebbero fatto fatica a dire se concepita dal nuovo governo, da un governo Draghi o da uno di centrosinistra.

Dove i toni si sono smussati e molto, pur in un’impostazione critica sul piano morale e concettuale e pesante negli effetti pratici, è a proposito del Reddito di cittadinanza. Dall’abolizione tout court sbandierata in campagna elettorale siamo passati al toglierlo agli “occupabili” dal 2024 e una riduzione della copertura per quest’anno da 12 ad 8 mesi sempre per gli occupabili (e tutto ciò per il “misero” risparmio di circa un miliardo per le finanze pubbliche: 800 miliardi circa di spesa complessiva). Occorrerà verificare come sarà strutturata la riforma dello strumento l’anno prossimo, ma dovrebbe convergere di fatto verso il modello europeo, perché in nessun Paese Ue gli “occupabili” non percepiscono alcun reddito di cittadinanza, anche se l’ammontare complessivo è meno generoso che da noi in rapporto a soglia di povertà e reddito medio.

Per essere una Manovra di un governo di destra, c’è progressività in molti aspetti. Il cuneo fiscale si riduce tutto a vantaggio dei lavoratori (aumenta il netto e non si riduce il lordo) e si riduce di più per i redditi più bassi. C’è un intervento sulle pensioni minime, un problema importante in un Paese dove esistono secondo gli ultimi dati Inps quasi 3 milioni e mezzo di pensionati che prendono meno di mille euro al mese (e più di un milione e mezzo meno di 500 euro). Lo scalone del passaggio da quota 100 (che consente di andare in pensione a 62 anni e 38 di contributi)) alla riforma Fornero (pensione a 67 anni) è attenuato con una quota 103 dove è possibile continuare ad andare in pensione a 62 anni con tre anni in più di contributi. Abbandonata la pessima idea di abolire per tutti l’Iva su pane e latte, anche per i ceti medio-alti, riducendo risorse fiscali che lo Stato usa per fornire beni e servizi di cui beneficiano in primis i meno abbienti, si pensa di tornare a forme di social card mirate sui più poveri. Soprattutto, pur in un quadro di risorse limitate, c’è un’attenzione importante alla famiglia, con aumenti mirati dell’assegno unico e l’estensione del congedo parentale.

L’impianto può e deve ancora migliorare. Il dialogo sul Reddito di cittadinanza, una misura di civiltà, deve continuare perché, come molti hanno sottolineato, la distinzione tra “occupabili” e “non occupabili” ha poco senso in presenza di working poor (occupati con salari miseri per i quali il reddito di cittadinanza aiuta a uscire dalla soglia di povertà e a mantenere famiglie e minori per definizione “non occupabili”). Ed è da valutare attentamente in prospettiva l’intervento sul superbonus che passa dal 110 al 90%. Le analisi nazionali e comunitarie sottolineano l’importanza fondamentale del suo impatto sulla ripresa del settore edilizio e dell’economia del Paese con un ritorno di introiti fiscali importanti che ha coperto gran parte della spesa erogata per la misura. Importante renderlo più efficace in termini di riduzione di emissioni disingolfando il mercato della cessione dei crediti d’imposta.

Ma la questione più urgente e prioritaria resta quella energetica. Il governo deve, coerentemente con l’obiettivo proclamato di indipendenza e sicurezza energetica, agire rapidamente per ridurre la nostra dipendenza dalle fonti fossili che è la causa unica dell’aumento delle bollette e dell’inflazione e ci ha costretto a dissanguarci sprecando una quantità enorme di risorse (60 miliardi col governo Draghi, più di 10 miliardi nella nuova manovra).

Cosa sarebbe oggi se la transizione ecologica fosse stata più rapida e avessimo avuto a disposizione questi 70 miliardi da giocare su fronti come innovazione, sanità, istruzione, lavoro e sostegno ai più deboli? In Italia ci sono progetti in attesa di approvazione per 280 gigawatt di rinnovabili. E Comuni, imprese, famiglie, diocesi e parrocchie sono pronti a realizzare progetti di “comunità energetiche”. È, dunque, possibile ridurre molto rapidamente la nostra dipendenza energetica accelerando le autorizzazioni con benefici importanti su bollette, inflazione e risorse pubbliche.

Siamo il “paradiso delle rinnovabili” ha detto Giorgia Meloni nel suo discorso inaugurale di presidente del Consiglio, e solo qualche giorno fa il premier inglese Sunak ha annunciato l’obiettivo di indipendenza energetica britannico da realizzare con le rinnovabili. Su questo fronte, il governo Meloni può e deve fare un deciso salto di qualità rispetto al passato.

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