Con la vittoria di Trump cosa cambia per l'Ucraina
martedì 12 novembre 2024

Com’era prevedibile, la clamorosa e sorprendente (almeno nelle dimensioni, che nessuno aveva previsto) rielezione di Donald Trump ha spalancato le porte a un’alluvione di ipotesi più o meno campate in aria sulle sue intenzioni riguardo al fronte per noi europei più caldo, l’Ucraina. In una fase in cui Trump non ha deciso nulla diventa possibile attribuirgli di tutto: dalla volontà di assecondare Putin a quella di minacciarlo (“Ho l’esercito in Europa”), dal progetto di liquidare Zelensky per via elettorale o “diplomatica” a quello di far entrare l’Ucraina zelenskiana nella Nato.
Ci sta, bisogna avere pazienza. Ma anche conservare un minimo di lucidità. Nell’immediato, le cosiddette “prospettive di pace” fatte immaginare o generate dal cambio di presidenza Usa, finché non diventeranno iniziative concrete avranno un’inevitabile conseguenza: di intensificare il conflitto, renderlo ancora più aspro e sanguinoso, spingere i contendenti ad alzare la posta per arrivare a eventuali trattative nella posizione più forte possibile. Cosa che sta già avvenendo sul campo di battaglia.
I comandi russi stanno accumulando truppe (compresi i famosi soldati della Corea del Nord) nella regione di Kursk, che hanno in parte già riconquistato ma che vogliono “liberare” del tutto per togliere agli ucraini un’importante carta negoziale. Nello stesso tempo è chiaro che Zelensky e i suoi continuano a impiegare in quell’area i reparti migliori e più agguerriti (pare, a dar retta alle voci da Kiev, contro il parere del generale Syrsky, comandante delle forze armate) proprio per conservare quella carta. Il risultato è inevitabile: scontri più aspri, più morti, più distruzioni. La stessa cosa avviene nel Donbass: i russi avanzano quanto più possono, per occupare la maggior porzione di territorio ucraino possibile prima di un eventuale congelamento del fronte; ma gli ucraini resistono a tutti i costi, anche quando questa o quella roccaforte è compromessa, per il motivo opposto e per far pagare ai russi il massimo prezzo possibile. A completare il quadro contribuiscono gli agenti esterni. L’amministrazione Biden, nel varco temporale che precede l’insediamento di Trump, dedica all’Ucraina altri pacchetti di aiuti militari (6 miliardi in extremis) e forniture di armi (500 missili per la contraerea e il permesso agli eserciti privati di mandare tecnici e contractors), mentre la Russia arruola i coreani e a importare tecnologia dalla Cina. È sempre il fronte, infine, a dettare i tempi della politica. La Russia di Putin avanza ma non sfonda, l’Ucraina di Zelensky si sgretola ma non crolla. Dal punto di vista della convenienza a trattare nessuno dei due pare al momento molto più pressato di prima. Certo, l’Ucraina e il suo popolo soffrono di più. L’inverno è alle porte e si presenta durissimo, con gli ucraini costretti a smontare molte centrali elettriche per avere i pezzi di ricambio con cui riparare quelle essenziali, colpite dai droni russi. Ma se Zelensky è ancora saldo in sella a Kiev, perché dovrebbe cedere proprio adesso, all’alba di una fase nuova, dopo aver resistito per quasi tre anni?
Donald Trump, peraltro, ha bisogno di battere un colpo sull’Ucraina. Perché l’ha promesso agli elettori, ai quali si è presentato come colui che vuole chiudere i conflitti, non fomentarli. Perché prendere un’iniziativa qui è per lui più semplice che farlo con Netanyahu in Medio Oriente. Perché deve chiudere qualche partita se vuole aprirne una più intensa con la Cina. Se Putin e Zelensky facessero muro rispetto a una trattativa, quindi, potrebbe adottare la soluzione più semplice: disimpegnarsi e dire agli europei “sono affari vostri”. E a Bruxelles, infatti, non nascondono la preoccupazione.
I singoli Paesi e le istituzioni Ue ripetono che sosterranno l’Ucraina finché sarà necessario. Ma un conto è mandare armi e quattrini sotto la direzione strategica degli Usa (come è avvenuto nelle periodiche riunioni di Ramstein) e della Nato, mentre ben altro impegno sarebbe assumere in prima persona l’onere di aiutare Kiev. Cosa che non potrebbe riuscire senza una qualche forma di coordinamento comunitario che, con Scholz e Macron in crisi, la Polonia in rapporti ora critici con l’Ucraina, la Gran Bretagna di Starmer fuori dalla Ue, almeno in questo momento pare un miraggio.
La morale è sempre quella, cioè che le guerre sono molto facili da cominciare e molto difficili da finire. Al di là delle banalità, però, si prenda coscienza che questa è una fase complicata e rischiosa. Molto dipenderà dagli uomini di cui Trump saprà circondarsi. Gli manca un Kissinger, è chiaro. E adesso ci vorrebbe più di un Blinken. Speriamo che l’esperienza del primo mandato, quando partì con una serie di nomine velleitarie e confuse, lo abbia ammaestrato.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: