"Faccetta nera" non si canta. E' storia ripudiata
martedì 19 gennaio 2021

Oggi non si vota solo a Roma per decidere la sorte del Governo. Un’importante votazione è prevista anche al Consiglio Regionale del Veneto, su un tema meno grave eppure delicatissimo: una assessora ha cantato in pubblico, a una radio popolare, la canzone "Faccetta nera". Può farlo? O merita una sanzione? E quale? Si tratta dell’assessora all’Istruzione, Elena Donazzan, dei Fratelli d’Italia. La conosco, è stata mia ospite quando conducevo una trasmissione politica a Radio Padova: è sveglia, decisa, colta, e immensamente schietta e sincera. E questo può essere un guaio.

Sulla cantata di "Faccetta nera" è nata una estesa polemica, nella quale molti politici, giornalisti, docenti, scrittori sono intervenuti. Anche chi scrive queste righe. Se ci torno sopra, è perché nel frattempo l’assessora Donazzan ha replicato, esponendo le sue ragioni, e mi pare importante esaminare, e se possibile contraddire, le ragioni di un atto che si presenta come chiaramente razzista.

Perché "Faccetta nera" è una canzone razzista, pensata e usata per accompagnare le nostre conquiste coloniali, presentate (qui sta la novità della canzone) come invocate e desiderate dagli indigeni africani, e specialmente dalle indigene: i nostri soldati fascisti non vengono per sottomettere terre e popoli, ma per portare una civiltà superiore, anzi suprema, la migliore civiltà del mondo, impersonata da due supreme figure benefiche: il Duce e il Re.

L’ora della conquista fascista dei loro territori sarà un’ora di felicità per le donne abissine, perciò loro l’aspettano con ansia: «Faccetta nera / bella abissina / aspetta e spera che già l’ora s’avvicina», «Quando saremo / vicino a te / noi ti daremo / un’altra legge e un altro Re». 'Cambiar legge' vuol dire uscire da una Storia ed entrare in un’altra. È il massimo trauma che può capitare nella vita di una persona. Ma per chi impone questo cambiamento, per i vincitori che portano la nuova storia, è il trionfo, la massima gioia che possano sognare in terra. 'Faccetta nera' canta il nostro massimo trionfo come se fosse la massima gioia di chi lo subisce: «Sarai in camicia nera pure te, / e marceremo avanti al Duce e avanti al Re». L’assessora si difende dicendo che noi siamo un popolo sempre diviso tra guelfi e ghibellini, tra borbonici e garibaldini e, «per restare nei confini della Serenissima, tra chi votò per il plebiscito e chi lo osteggiò e ancor oggi rivendica la grande truffa. La storia è scritta dai vincitori e spesso non trova le ragioni dei vinti.

L’Italia continua a vivere una perenne guerra civile, una guerra dolorosa e fratricida». «Oggi tocca a me, su un tema divisivo per natura. Oggi toccherà a chi altro si esprimerà su famiglia, droga, storia, persone, eventi, società». No, Elena, non è così, non è una discussione che permetta gli opposti pareri, il sistema di politica e di pensiero che faceva cantare 'Faccetta nera' non s’imponeva con una sua politica saggia e un pensiero superiore, ma con l’arresto, la prigione, il confino, il manganello e l’olio di ricino. E nelle terre che andava a conquistare sganciava bombe a gas sulle popolazioni inermi, e faceva strage come nel grande monastero cristiano di Debre Libanos. Vedo che altri ti hanno scritto ricordandoti che loro l’olio di ricino han dovuto berlo, e non era uno strumento razionale e democratico. Nelle conquiste coloniali gli indigeni e specialmente le indigene erano prede. Se qualche abissina aveva una faccetta bella, era una preda più contesa. Non siamo più predatori. O almeno non dovremmo esserlo.

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