giovedì 9 gennaio 2025
«Il silenzio è un nemico in quel contesto. Quello che mi è mancato di più? I libri», la giornalista risponde alle domande di Mario Calabresi in una puntata del podcast Stories
Cecilia Sala

Cecilia Sala - Ansa

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«Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare e riposare. Questa notte non ho dormito per l'eccitazione e per la gioia, quella precedente per l'angoscia, ma sto bene, sono molto contenta», il suo primo racconto, dopo il rientro dall’Iran, Cecilia Sala lo affida al suo podcast Stories, nel quale oggi ha risposto alle domande di Mario Calabresi, direttore di Chora Media.

Nella puntata dal titolo "I miei giorni a Evin, tra interrogatori e isolamento" ha parlato del momento dell’arresto in hotel, l’arrivo nel carcere di Teheran, la lunga prigionia, la solitudine della vita in cella, la paura e la speranza della liberazione, arrivata a sorpresa mercoledì 8 gennaio. «A me non è stato spiegato perché sono finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin - ha continuato la giornalista - La storia comincia con il fatto che l'Iran era il Paese in cui di più volevo tornare, dove c'erano le persone a cui mi ero più affezionata. Si cerca di avere uno scudo dalla sofferenza degli altri che accumuli e qualche volta delle fonti che incontri per lavoro diventano amici, persone che vuoi sapere come stanno».

L'Iran per Sala è uno di questi posti ai quali si sente particolarmente legata. «Qualche volta qualcuno che incontri buca lo scudo che ti sei creato, e in Iran questo mi era successo, ci tenevo a tornare da loro. È molto difficile ottenere un visto per l'Iran e prima di questa partenza ero molto felice di averlo ottenuto», ha aggiunto. La giornalista ha poi raccontato della prigionia. «Quasi tutti i giorni mi interrogavano. Per le prime due settimane tutti i giorni. Io ho preso in considerazione l'ipotesi di essere accusata di reati come pubblicità contro la Repubblica islamica, o molto più gravi»: accuse non sono mai formalizzate. Prima di partire, ha spiegato ancora Sala, «avevo preso in considerazione il rischio di essere arrestata ed è una cosa che mi sono rimproverata molto una volta dentro. Ho chiesto consiglio a tantissime persone di lì prima di partire, ma il nuovo governo aveva dimostrato un piccola apertura, concedendo visti a giornalisti stranieri: c'era la Cnn, Paris Match...».

Nei giorni trascorsi a Evin Sala, nonostante la paura e la sofferenza, è riuscita anche a sorridere per due volte: «La prima volta che ho visto il cielo e poi quando c'era un uccellino che faceva un verso buffo. Il silenzio è un altro nemico in quel contesto. In quelle due occasioni ho riso». La 29enne ha ricordato la prima volta che ho visto il cielo: «Per quanto in un piccolo cortile del carcere, con telecamere e filo spinato, mi sono sentita bene e mi sono concentrata su quell'attimo di gioia. Ho pianto e riso di gioia». E a proposito di difficoltà, Sala ha spiegato che non le erano stati dati neppure gli occhiali perché ritenuti pericolosi e di come «nella tua testa quando non hai nulla da fare, non ti stanchi, non hai sonno, non dormi, un'ora ti sembra una settimana. La cosa che più volevo era un libro qualcosa che mi potesse portare fuori, in una storia che non fosse la mia».

Del resto, già dall’intervista emerge anche il desiderio di Sala di tornare al lavoro per continuare a raccontare il mondo come ha fatto negli ultimi tre anni in più di 690 episodi, con storie da Ucraina, Stati Uniti, Sud Sudan, Israele, Georgia, Australia e Afghanistan, oltre che dall’Iran.

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