Al netto della propaganda elettorale sul tema della migrazione, la presidente del Consiglio almeno su un punto è d’accordo con le opposizioni. Ovvero sulla necessità di riformare la legge Bossi-Fini che disciplina da un quarto di secolo – un’era geologica – la delicata materia.
Giorgia Meloni lo ha dichiarato in Consiglio dei ministri, dopo aver presentato un esposto al procuratore nazionale antimafia su anomalie nei decreti flussi che configurerebbero ingressi truffa di lavoratori agricoli. Però ha puntualizzato che resta intoccabile il principio ispiratore della Bossi-Fini (dalla quale il secondo coautore ha preso le distanze cinque anni fa), cioè «consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro». E su questo principio finisce la sintonia. Perché il problema sta proprio in questa logica securitaria. Troppo spesso si lavora su un piano emergenziale, come se dopo 30 anni, oltre 5 milioni di stranieri residenti e 800mila minori nelle scuole (che spesso contribuiscono a tenere aperte), il nostro non fosse ancora diventato un Paese di immigrazione e non dovesse dotarsi di una legge al passo con i tempi.
Non serve andare nei campi della Campania e trovare i bangladeshi truffati o sfruttati per vedere le storture della Bossi Fini. A Monfalcone, ad esempio, dal Bangladesh arriva la maggior parte dei lavoratori della cantieristica. Tutti con regolare contratto di lavoro in mano come vuole la legge, per ottenere il quale, è risaputo, si sono magari indebitati fino al collo con agenzie che procacciano personale dal Paese asiatico. E sono rassegnati a vivere assiepati in affitto in nero negli appartamenti, vivendo come schiavi per ripagare il debito. Un contratto non garantisce integrazione e sicurezza.
E se nel manifatturiero o in agricoltura si può anche scegliere un lavoratore a distanza in base al curriculum, nei servizi, nel commercio, nelle professioni ad alta qualifica, nel turismo e nel lavoro domestico funziona diversamente. Colf e badanti non arrivano in Italia con il contratto, anzi: sono spesso titolari di visti turistici che solo dopo lunghi periodi di nero vengono assunte perché considerate fidate. E in tal senso il governo ha iniziato col piede giusto.
Ascoltando le richieste di manodopera delle aziende italiane. Così con il decreto 20 del 2023 l’esecutivo ha finalmente promosso una programmazione triennale dei flussi: 136mila persone per il 2023, 151mila per il 2024 e 165mila per il 2025, suddivise tra lavoratori subordinati non stagionali, autonomi e stagionali. Troppo poco, secondo le aziende. Quest’anno ci sono stati tre click day a seconda delle tipologie di domande presentate: il 18, il 21 e il 25 marzo. Nei primi cinque minuti sono arrivate rispettivamente 49.734, 49.228 e 77.688 richieste. Poi forse le elezioni lo hanno bloccato.
Anche il Terzo settore chiede una nuova legge. Secondo la campagna “Ero straniero” la Bossi-Fini «impedisce l’incontro tra domanda e offerta, lasciando moltissime aziende senza manodopera o costringendole a ricorrere al lavoro nero e precario, con grave danno per la crescita del Paese». Non tiene conto di una realtà mutata. Pochi giorni fa il governatore della Banca d’Italia Panetta ha ipotizzato che un sostegno all’occupazione «derivi da un flusso di immigrati regolari superiore a quello ipotizzato dall’Istat. Flussi che potrebbero arrivare a controbilanciare gli effetti del calo demografico».
C’è infine la questione del lavoro qualificato. Insomma, stando agli esperti la direzione pare obbligata. Che farà il governo? Se non ricorrerà alla classica sanatoria – purtroppo ci sono ancora gli strascichi di quella del 2020 –, potrebbe pensare a canali flessibili, recuperando la figura dello sponsor che si fa carico di chi entra in Italia per cercare lavoro e ricorrendo ad accordi bilaterali con i Paesi africani del Piano Mattei per agevolare l’ingresso di studenti e lavoratori. L’importante è cambiare marcia. Nei 10 anni passati, da Lampedusa a Cutro, l’Italia è passata dall’applauso alla solidarietà al culto del respingimento. Oggi la politica deve introdurre il verbo “attirare” nell’interesse nazionale, scegliendo chi serve. Poi arriveranno inevitabilmente anche i “poveri Cristi”, quelli veri, la premier lo sa. L’Italia saprà accogliere anche loro, come ha sempre fatto. Lo farebbe meglio senza spedire nessuno in Albania, investendo proficuamente e al passo con i tempi fior di milioni.