Nella discussione sulla proposta di legge all’esame del Senato sulle Dat («Disposizioni anticipate di trattamento») la posizione di 'Avvenire' è chiara – particolarmente dopo gli interventi dei cardinali Bassetti e Betori, e, nei giorni precedenti, del direttore, di Francesco Ognibene, di Antonio Gambino, di Gian Luigi Gigli e di altri ancora – a sostegno di alcuni correttivi del testo che si intende approvare in via definitiva domani al Senato.
Gli strattoni che la stampa cosiddetta laica ha dato alle recenti parole di papa Francesco circa l’accanimento terapeutico sono rivelatori di intenzioni che mirano a sancire la disponibilità assoluta della propria vita richiedendo la complicità dello Stato. Papa Francesco ha ripetuto la dottrina tradizionale, quella che troviamo in Pio XII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e nella nuova Carta degli operatori sanitari del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute (2016). Il nodo è ciò che è da intendersi come accanimento terapeutico nella situazione concreta del malato, che non può essere prevista da nessuna legge ed entra piuttosto nella relazione di cura in cui è coinvolto il medico.
Né può sostenersi che la nutrizione e idratazione artificiale siano da considerarsi sempre una terapia da accettare o a cui rinunciare. Ciò non è vero e non poteva essere ignorato dai proponenti della legge. Perché allora non si è cercato di introdurre limitazioni lasciando al medico la valutazione nelle situazioni concrete? Il testo di legge votato alla Camera e portato ora all’esame del Senato sancisce, invece, la disponibilità assoluta della propria vita chiedendo allo Stato che si faccia partecipe e complice della scelta di ciascuno sul vivere e sul morire. Ma è questo il senso dell’articolo 32 della Costituzione, che rappresenta il riferimento assoluto per le Dat, quasi un idolo a cui tutto va sacrificato e pure lo Stato deve inchinarsi? È questo il rispetto della persona richiesto dallo stesso articolo della Costituzione? Come può armonizzarsi con altre affermazioni della Costituzione stessa? La sua assolutizzazione, purtroppo possibile e in buona misura già avviata dal concerto politico-mediatico 'interpretativo' che accompagna il pressing per il varo dell’attuale ipotesi di normativa sulle Dat, apre la strada a una eutanasia meno strisciante di quanto si possa pensare. Che dire poi delle situazioni delle persone in stato vegetativo o di minima coscienza sulle quali Gian Luigi Gigli, da neurologo di vaglia qual è, ha richiamato l’attenzione? La ricerca scientifica sta aprendo nuovi orizzonti su questi pazienti, sul grado di coscienza in essi presente. Le situazioni non si possono generalizzare.
La nutrizione e idratazione artificiale in queste persone non è terapia da accettare o rifiutare, non può essere vista come accanimento terapeutico L’applicazione di eventuali desideri espressi dalla persona in buone condizioni di salute non può essere automatica. Lo Stato deve tutelare la libertà di scelta dei trattamenti sanitari, e anche l’eventuale rinuncia, ma in una società solidale lo Stato non può rendersi complice ed esecutore di scelte che direttamente provocano la morte in una persona, sia che lo capisca sia che non se ne renda conto. L’assolutizzazione della libertà individuale e la sua tutela, così come l’amministrazione della morte, non è richiesta da un buon funzionamento dello Stato. A monte di certe posizioni sta una visione etica individualista del cittadino, della società civile, della vita e della morte, in cui si restringe lo spazio di una solidarietà che è affermata dalla Costituzione e deve unire tutta la società, aiutando a non sentirsi soli di fronte alla sofferenza e alla morte.
*Sacerdote, paleontologo e antropologo professore emerito dell’Università di Bologna