«Dopo un trentennio, quanto del profetico invito è stato realizzato? Purtroppo, ben poco o nulla. Si sono tenuti innumerevoli incontri, seminari, tavole rotonde e conferenze (l’ultima in ordine di tempo quella organizzata dalla Diocesi di Trieste il settembre scorso: 'Teologia e Scienza in dialogo al tempo della pandemia'), ma tutte queste pur lodevoli iniziative si sono limitate a riaffermare il primo concetto della lettera di san Giovanni Paolo II, ovvero che Scienza e Teologia non sono in conflitto e possono dialogare». La profezia cui si riferisce il professor Piero Benvenuti nel suo articolo su 'Avvenire' del 2 novembre 2021 è quella espressa dal Papa in una missiva al direttore della specola vaticana. Il fatto che uno scienziato, un grande astrofisico, come l’autore dell’analisi citata riprenda questa pagina e la scagli contro i teologi ( in theologos , direbbe Franz Rosenzweig) non può che costituire un salutare schiaffo al nostro lavoro non solo accademico, ma anche divulgativo. Impossibile dargli torto. Vorrei tuttavia cercare di abitare il 'ben poco', tentando di dargli consistenza.
Certo, se Benvenuti si riferisce alla cosiddetta 'teologia dogmatica', che altri denominano 'teologia sistematica', ha ragioni da vendere, soprattutto perché a seguire i corsi o leggere la produzione scientifica di questi teologi non si può dubitare del fatto che «la Tradizione e i Dogmi da essa conseguenti, nella forma tramandataci, si sono gradualmente e subdolamente trasformati in formule vuote. Le ripetiamo magari a memoria, ma se ci interroghiamo sul loro significato profondo, ci accorgiamo che la loro formulazione è diventata incompatibile con l’attuale comprensione del mondo in cui viviamo».
E questo esito lo dobbiamo alla 'dogmatica', direi non solo cattolica. Ma, se porgiamo attenzione a quell’area del sapere della fede che si denomina 'teologia fondamentale', forse abbiamo qualche motivo per rivedere la nostra pur legittima opinione. In primo luogo, perché siamo di fronte a una regione teologica di frontiera. In quanto tale essa deve, se vuol obbedire alla propria vocazione, disegnarsi nel ruolo di 'sentinella della teologia', ma non una sentinella che guarda al di dentro per colpire chi erra o individuare possibili e altrettanto improbabili eresie, ma come la sentinella che guarda oltre il proprio ambito epistemico per lasciarsi interpellare dalla filosofia e dagli altri ambiti del sapere, anche dalle cosiddette 'scienze hard'. Una esperienza importante per il mio percorso personale (la questione non riguarda solo i 'giovani teologi' cui si riferisce l’articolista) è stata quella del Sefir (Scienza e fede nell’interpretazione del reale), un’area di ricerca animata dal matematico Giandomenico Boffi, che ha prodotto tanti incontri e pubblicazioni non solo per dire che scienza e fede non sono in conflitto, ma soprattutto per mostrare come un incrocio sia fecondo per entrambe le appartenenze. Basta riprendere i volumi pubblicati per rendersene conto, come la profonda e articolata riflessione promossa a suo tempo dall’Associazione Teologica Italiana sul cosmo e il suo futuro, animata da personalità quali il compianto Edoardo Benvenuto e il gesuita Saturnino Muratore. In quelle occasioni, non ci si è limitati solo a rilevare che si può attivare un dialogo, ma lo si è svolto con fatica e vivacità, anche perché fino ad allora come teologi eravamo piuttosto abituati a confrontarci più con la filosofia che con le scienze empiriche.
Da lì abbiamo imparato che la mediazione filosofica è necessaria, ma solo e in quanto riesca a tener conto dei saperi altri. Oltre questo orizzonte epistemologico, a livello di contenuti, la teologia fondamenta-le, così come si esprime nella Università Lateranense (del Papa, ma non papolatrica), pone grande attenzione a quella che amiamo denominare la dimensione cosmicoantropologica della Rivelazione cristiana. Basta scorrere le pagine del II volume del trattato di Teologia fondamentale (in quattro volumi, ormai sulla piazza per i tipi di Città Nuova dal lontano 2005), curato dal sottoscritto, per rendersene conto. E si tratta di una pubblicazione destinata sia alle giovani marmotte della teologia (ciclo triennale) che agli specializzandi. In particolare, le pagine sul tema della creazione e del miracolo credo rispondano in pieno all’istanza avanzata dal Benvenuti e da tanti colleghi e scienziati come lui.
Purtroppo, tutto questo resta sottotraccia e non mi meraviglia il fatto che venga ignorato in campo scientifico laico, ma soprattutto che i cultori della dogmatica non se ne curino. Mi chiedo quanto avrebbero da guadagnare, anche in senso speculativo la cristologia, la trinitaria, l’antropologia, l’escatologia, la soteriologia dalla trattazione cosmico-antropologica, che, nella nostra prospettiva, trova il suo contesto di riferimento proprio nella dimensione sapienziale della Rivelazione, cui si riferisce la Fides et ratio, tanto cara a tutti noi. Le sfide sono innumerevoli e solo un lavoro di équipe potrà in qualche modo incrociarle e rifletterle. I piccoli segni del «ben poco» potrebbero diventare semi per un ulteriore futuro lavoro non solo per i giovani teologi ma per chiunque abbia a cuore la ricerca del Vero, che avviene in tempi lunghi, come diceva il poeta («Lungo è il tempo, ma il Vero avviene», Friedrich Hölderlin).