Dal prossimo anno, per decreto regio, le suddite del Regno dei Saud potranno guidare. La notizia richiede le cautele del caso. In Nordafrica, fra luci e ombre, alcuni risultati significativi sono stati raggiunti, ma è davvero troppo presto per parlare di “Primavera rosa” nel mondo arabo.
Il «laboratorio-Tunisia» Laboratorio sperimentale di rivoluzioni e processi democratici, la Tunisia segna il passo. Secondo le maggiori organizzazioni per la difesa dei diritti umani, molto c’è ancora da fare in un Paese in cui il 70% delle donne subisce almeno una volta nella vita un abuso. Tuttavia, la società civile fa mostra di rara costanza nel chiedere pari diritti per uomini e donne, e la classe politica non chiude la porta al vento delle riforme. L’ultimo capitolo, in termini cronologici, di un cammino non privo di ostacoli è rappresentato dall’abolizione di una circolare (216) datata 5 novembre 1973 che impediva alle cittadine tunisine di fede musulmana di sposare uomini di un altro credo. La medesima legge stabiliva che, avendo contratto un matrimonio “fuorilegge” all’estero, tale vincolo non fosse riconosciuto al rientro in patria. E imponeva la conversione dello sposo di altra fede all’islam (il 99% dei tunisini è musulmano sunnita).
Quella legge è stata dichiarata decaduta dal ministero della Giustizia tunisino il 14 settembre. A preannunciare l’abrogazione della norma, incostituzionale alla luce della nuova Carta del 2014, era stato il presidente Béji Caïd Essebsi il 13 agosto, in occasione della Festa nazionale della donna. Nella medesima cornice, il 90enne Essebsi aveva prefigurato anche la riforma del diritto ereditario: ad oggi una donna eredita la metà di quanto attribuito per legge ad un uomo. Inevitabili le polemiche, infuocate, con la componente islamista del Parlamento (in cui le donne, per conoscenza, rappresentano più di un terzo), rappresentata dai moderati di Ennahda (La rinascita) e da altre formazioni più conservatrici, impegnati a difendere quanto previsto o presunto tale dal Corano. L’abolizione della circolare 216 segue di poche settimane quella della legge sul matrimonio “riparatore”, che prevedeva per gli autori di violenze sessuali la possibilità di sposare le proprie vittime, e la contestuale approvazione di una piattaforma legislativa contro maltrattamenti e violenza di genere. Sul diritto ereditario, si prevede un confronto politico aspro, cui l’opinione pubblica non è nuova: nel 1956, non fu facile per Habib Bourguiba convincere le autorità religiose della necessità di eliminare poligamia, ripudio, matrimonio precoce. Più recentemente, in tempi di Costituente, imponenti manifestazioni popolari hanno dissuaso i deputati di Ennahda dal perseverare ostinatamente sul principio di “complementarietà” fra uomini e donne, che essi volevano inserire nella nuova Carta a discapito di quello di “uguaglianza”.
Il Codice avanzato del Marocco Uomini e donne sono “uguali” anche per la Costituzione marocchina, riformata nel 2011 per decisione di Mohammed VI, intenzionato a tenere lontana la Primavera araba. La condizione femminile era già stata protagonista di un significativo miglioramento con l’approvazione del Codice di statuto personale, la Mudawwana, cioè la cornice legislativa del diritto di famiglia. Fra i più avanzati del mondo arabo-sunnita, il Codice rende più difficile la poligamia, pur non abolendola; riconosce il diritto dei due sposi di gestire congiuntamente gli affari familiari; cancella la pratica del ripudio; stabilisce l’età minima legale per contrarre matrimonio ai 18 anni; considera reato la molestia sessuale; riconosce valido il matrimonio di cittadini marocchini secondo le leggi di altri Paesi.
Violenze e mutilazioni in Egitto e Algeria Non si può parlare di condizione della donna egiziana senza prendere in considerazione il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili (Mgf), fuori legge dal 2008 eppure ancora radicate nell’humus culturale. Si calcola che il 90% delle egiziane (stime Onu, inclusive di musulmane e cristiane) di età compresa fra i 15 e i 60 anni abbia subito qualche forma di Mgf. Allo stesso modo, violenza sessuale, molestie e delitti d’onore sono diffusi in percentuali superiori a qualsiasi altro Paese arabo, nonostante diritto di voto, pari opportunità nel mondo del lavoro e della scuola, accesso alla vita politica siano conquiste femminili risalenti all’era di Nasser. Va meglio per le algerine, forti non solo di una Costituzione post-coloniale che ne riconosce la totale parità con i concittadini maschi, ma anche della resistenza della componente laica della società. Eppure, la questione è tutt’altro che archiviata: durante la campagna per il voto politico del 4 maggio scorso, nelle zone rurali, sui manifesti i volti delle candidate sono stati “sbianchettati” per scelta dei partiti di appartenenza, islamici.