Sul Venezuela l'Italia si muove senza strategia
domenica 3 febbraio 2019

In ordine sparso, e soprattutto guidati dall’impulso del momento, senza coordinate geopolitiche, memoria del passato, né uno sguardo che vada al di là del sondaggio settimanale. Una politica estera giocata in questo modo, va da sé, non porta lontano. Il caso del Venezuela è più la spia di una tendenza che un vero fronte dell’interesse nazionale. Malgrado la presenza di emigrazione italiana, sono sempre state altre le nazioni influenti a Caracas. Ma il mettersi di traverso del nostro governo al riconoscimento di Juan Guaidó come presidente provvisorio non è stato dettato da alcuna considerazione approfondita del frangente drammatico in cui si trova il Paese sudamericano.

Il riflesso del Movimento 5 stelle è stato quello di non sconfessare un certo movimentismo antiglobalista, che però nell’incarnazione di Maduro pare davvero difficile giudicare di successo (sebbene riesca ancora a mobilitare una parte della popolazione). Più cauta la componente leghista, comunque tentata dallo schierarsi a fianco degli interessi russi nell’area, più garantiti dall’attuale presidente che dallo sfidante democratico.

Ma per quale motivo rompere il fronte dei partner europei, impegnati a portare il Venezuela a nuove e più libere elezioni? No a ingerenze straniere? Può essere un principio, ma va coniugato con un sistema di alleanze internazionali a cui siamo vincolati. E poi non è possibile esprimersi con più voci, dal premier moderato ai suoi vice inclini all’esternazione a effetto fino a un ministro degli Esteri competente e credibile messo nell’angolo o magari (come nel caso dell’annuncio sul ritiro dall’Afghanistan) nemmeno informato. Si sa, la politica estera non scalda la maggioranza degli elettori, se non nella forma del “dagli all’Europa matrigna”. Eppure, è una materia troppo delicata (si veda l’escalation nucleare in corso) per essere lasciata a chi rischia di agire come un apprendista stregone.

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