domenica 5 gennaio 2020
Con un cartello tra le mani, presidia i quattro punti nevralgici di Kampala. «Adesso non sono più sola nella mia lotta»
La 22 enne, al fianco di Greta alla Cop25, è stata la prima ugandese a “scioperare” di venerdì per fare da megafono alle sfide del cambiamento climatico soprattutto nel continente. «Ora salviamo le foreste del Congo»

La 22 enne, al fianco di Greta alla Cop25, è stata la prima ugandese a “scioperare” di venerdì per fare da megafono alle sfide del cambiamento climatico soprattutto nel continente. «Ora salviamo le foreste del Congo»

COMMENTA E CONDIVIDI

«Fridays for future? No, Fridays for now», i venerdì per ora. Questo è il motto di Vanessa Nakate, ugandese, 22 anni, apparsa al fianco di Greta Thunberg e altri giovani ambientalisti alla Cop25 tenutasi a Madrid lo scorso dicembre. È stata la prima ugandese a “scioperare” di venerdì per fare da megafono alle sfide del cambiamento climatico soprattutto in Africa. «L’anno scorso ho iniziato a domandarmi come potevo fare per migliorare la vita della mia comunità e del mio Paese», racconta ad Avvenire Nakate. «Nelle mie ricerche ho scoperto che oltre all’insicurezza alimentare e la povertà, in Uganda soffriamo molto per il cambiamento climatico. La cosa mi ha sorpreso – continua la giovane ambientalista –, quest’ultimo fenomeno, infatti, non è fatto conoscere a scuola. Noi studenti impariamo solo la definizione del cambia- mento climatico senza approfondire le cause e le terribili conseguenze di questa realtà».

Non conoscendo ancora il movimento dei “Fridays for future”, Nakate continua le sue ricerche. Apprende che le conseguenze del “climate change” stanno devastando intere popolazioni, non solo in Uganda, ma in tutto il continente. Dalla siccità alle alluvioni, dalle forti piogge alle carestie, la coscienza civile di Nakate è cresciuta con il desiderio di trasmettere quello che aveva imparato. All’inizio, però, non è stato semplice. «Volevo far notare ai miei concittadini il male che l’essere umano sta facendo alla terra ignorando il tema del cambiamento climatico – spiega la giovane ugandese –. In quel periodo ho conosciuto altri attivisti nel mondo che ogni venerdì scioperavano per aumentare l’attenzione verso una piaga così devastante».

È così che anche Nakate ha iniziato a scioperare. Con un cartello tra le mani, decise di posizionarsi in quattro punti nevralgici della capitale ugandese, Kampala. Dalle stazioni dei bus ai centri commerciali. Sul suo cartello si leggeva: “Amore verde, pace verde”. In principio, la preghiera per un rispetto maggiore dell’ambiente non è stata ascoltata. I suoi amici e compagni a scuola preferivano prenderla in giro. A un anno di distanza le cose sono comunque cambiate. La sua lotta ha raggiunto un’eco non solo africana, ma internazionale. Dopo oltre 50 venerdì di sciopero, Nakate si è recentemente associata ad altri ambienta-listi per salvare nello specifico la foresta della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Dopo decenni di esplorazioni minerarie, traffici, urbanizzazione selvaggia, uno dei più grandi polmoni del continente africano, nonché del mondo, sta subendo una grave “ferita”.


12 milioni
gli ettari di terreno boscoso che verranno a mancare in Africa orientale entro il 2030

84%
la quota di deforestazione nel bacino del Congo che incide sull’agricoltura di sussistenza

17 miliardi
l’ammontare, in dollari, del valore annuale di introiti del traffico illecito di legname in Africa

La deforestazione del bacino del Congo, il cui territorio copre circa il 60 per cento della Rdc, è stata causata negli ultimi anni per l’84% dal bisogno di campi e materiale per un’agricoltura di sussistenza. Altre foreste come quelle in Gabon, Sierra Leone, Senegal, Guinea e Camerun sono ugualmente minacciate dal traffico illegale di legname, fomentato dalla richiesta di aziende occidentali e asiatiche. In Africa orientale, invece, si stima che verranno perduti fino al 2030 oltre 30 milioni di acri.

Pochi africani, però, ne parlano. Secondo l’ambientalista ugandese, anche i media internazionali tendono a enfatizzare di più il pericolo delle foreste negli Stati Uniti o in Amazzonia, ignorando il continente nero. «Innanzitutto è responsabilità degli africani discutere dei problemi che stiamo affrontando – sostiene Nakate, spesso delusa dal mo- do in cui in Africa, per governanti e cittadini, il cambiamento climatico non è al centro delle discussioni –. Ma gran parte della gente comune non sa neanche che c’è una crisi in corso per l’ambiente, ecco perché io stessa sono un’autodidatta al riguardo». Secondo Nakate, il cambiamento climatico alimenta anche il fenomeno dei matrimoni precoci.

Sono infatti molte le minorenni, spesso di età compresa tra i 12 e 15 anni, ad essere date in sposa dai loro genitori in cambio di una dote. «I genitori, come le figlie, non vogliono che questo avvenga – assicura –, ma quando a causa del clima i raccolti vanno male e i prezzi dei prodotti alimentari salgono, i matrimoni precoci sono una delle poche alternative per sopravvivere». Sebbene il cambiamento climatico continui a rappresentare in Africa un elemento poco compreso, sono comunque sempre più numerosi gli attivisti locali.

«C’è speranza perché stiamo riscontrando un cambiamento del comportamento umano in Africa per mitigare il cambiamento climatico. Infatti – conclude Nakate –, un numero sempre maggiore di persone ora mi domanda come si può aderire a questo movimento ».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: