La chiusura della campagna elettorale del presidente Recep Tayyip Erdogan a Istanbul - Ansa
«Domenica passeremo alla festa». Lo ha detto il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan in uno dei suoi ultimi comizi in vista del turno di ballottaggio. Parole che ben descrivono il clima nel Paese, dove il ritorno alle urne è vissuto come la cronaca di una vittoria annunciata. Nonostante questo, entrambi i candidati, a partire dal favorito, non hanno diminuito l’intensità della campagna elettorale che, partita in sordina, anche a causa del clima ovattato durante il mese sacro del Ramadan, finisce con parole al vetriolo. Il Chp, il Partito Repubblicano del popolo e formazione più importante della minoranza, ne ha per tutti. La dirigenza si è scagliata contro Sinan Ogan, il candidato ultranazionalista che, dopo aver lasciato intendere che avrebbe potuto appoggiare il candidato dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, si è fatto ritrarre sorridente al fianco del presidente Erdogan. Ma non mancano anche accuse contro il governo di aver allestito una vera e propria macchina delle fake news, facendo circolare sui social video falsi che ritraevano Kilicdaroglu con membri del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Qualcuno ha persino ipotizzato che il presidente avrebbe dato vita a una “fabbrica dei troll” sul modello di quella russa e che alcuni di loro lavorerebbero meno che dal palazzo presidenziale.
Vero o no che sia, è indiscutibile il fatto che gli argomenti in queste due settimane di campagna elettorale prima del ballottaggio sono cambiati sensibilmente, soprattutto da parte dell’opposizione. Se prima gli sforzi erano concentrati sull’economia e sui danni prodotti dal terribile terremoto dello scorso sei febbraio, adesso si gioca tutto sulla pelle dei migranti. Kilicdaroglu ha concentrato i suoi ultimi comizi nelle città dove il peso migratorio si è fatto maggiormente sentire, Erdogan ha annunciato che oltre 600mila siriani sono già stati mandati oltre confine e che nella zona di Aleppo sono iniziati i lavori di costruzione delle case che ne accoglieranno altri. Il tutto a spese della minoranza curda nel Nord della Siria e per la gioia del presidente di Damasco, Bashar Al-Assad, con cui la riconciliazione sembra sempre più vicina.
Un gigantesco ritratto dello sfidante Kemal Kilicdaroglu nel centro di Istanbul - Ansa
Che Kilicdaroglu possa rimontare i quasi cinque punti che lo dividono da Erdogan, appare un’impresa pressoché impossibile. Gli analisti nel Paese sono molto più impegnati a capire se il presidente sia destinato a vincere o stravincere. Altro dato importante sarà l’affluenza. Una vittoria consistente con affluenza alta equivarrebbe a un’incoronazione e all’ennesima dimostrazione che c’è la maggior parte della Turchia per la quale il presidente è l’unico leader possibile. Con buona pace dell’opposizione, che crede ancora che una parte del consenso sia dovuto a brogli massicci e che ha chiesto di andare a votare e ai rappresentanti di lista di non abbandonare i seggi fino a quando i sacchi contenenti le schede elettorali non sono stati chiusi e sigillati. All’estero hanno votato ancora più persone del primo turno. Un dato, questo, che molti analisti al primo turno avevano interpretato come un vantaggio per Kilicdaroglu e che invece si è rivelato un boomerang per il leader dell’opposizione, visto che nella maggior parte dei Paesi, esclusi Canada, Stati Uniti e pochi altri, Erdogan è risultato vincente.
Il reis, ossia il capo, come lo chiamano nel suo partito, negli ultimi discorsi, ha fatto appello soprattutto ai giovani, chiedendo loro di avere fiducia nella Turchia che sta costruendo. Il prossimo 29 ottobre il Paese compirà 100 anni. Del suo fondatore, Mustafa Kemal Atatürk, che sognava uno stato laico e occidentale, sono rimasti solo i ritratti nei palazzi pubblici e le statue.