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Il presidente Trump - ANSA
Qualcosa era già nell’aria, ma il primo annuncio di un addio eccellente ha suscitato ugualmente scalpore nella comunità accademica americana. A rompere gli indugi è stato Jason Stanley, professore di filosofia a Yale e autore del libro acclamato a livello internazionale Noi contro loro. Come funziona il fascismo, nonché tra le voci più critiche nei confronti del primo mandato di Donald Trump. Ha scelto di trasferirsi all’Università di Toronto, unendosi a due colleghi di spicco come Timothy Snyder e Marci Shore.
Da venerdì scorso, la sua futura partenza ha suscitato analisi di segno anche opposto nel panorama culturale statunitense, oggi profondamente diviso e infuocato, a causa dei provvedimenti dell’Amministrazione repubblicana. La goccia che ha fatto traboccare il vaso per Stanley, secondo quanto egli stesso ha dichiarato alla Cnn, è arrivata con la decisione della Columbia University di attuare ampie modifiche alle proprie politiche circa le attività svolte da studenti e docenti, nel tentativo di evitare che la Casa Bianca ritirasse centinaia di milioni di dollari di finanziamenti federali nel contesto della stretta sull’immigrazione e delle manifestazioni pro-palestinesi nei campus degli atenei accusati di antisemitismo.
Il trasferimento del noto filosofo di Yale, una delle università più prestigiose d’America e del mondo, incrocia la sua sensibilità personale – è di famiglia ebraica: il padre fuggì dalla Germania nazista, la madre dalla Polonia; e la sua battaglia contro i provvedimenti di Trump – con quanto ha scritto sull’autoritarismo di destra. Nella sua ricostruzione, esso risulta capace di sfruttare temi come la riscrittura del passato, il fastidio per le trasgressioni sessuali, il desiderio di legge e ordine, la presunta esistenza di una gerarchia naturale tra razze, popoli e generi, la diffidenza verso la scienza e gli esperti. E Stanley vede affiorare alcuni prodromi nell’America di oggi. «La storia suggerisce che, quando il governo centrale prende di mira le università nel modo in cui sta accadendo ora, si ha un segnale di autoritarismo incipiente. Faremo bene a prendere questi segnali sul serio, se vogliamo preservare un baluardo essenziale: un sistema accademico vivace, robusto e indipendente», ha detto in un’intervista al settimanale The Chronicle of Higher Education.
Non molti sono d’accordo con questa interpretazione estremamente pessimista, anche se con varie sfumature le preoccupazioni stanno crescendo in numerosi ambienti. E sono anche le divisioni tra gli intellettuali che spingono Stanley verso il Canada: «Quello che servirebbe è una risposta coordinata. Stanno cercando di metterci tutti l’uno contro l’altro. I media hanno preparato il terreno. L’ipocrisia moralistica, del tipo “alzatevi contro il politicamente corretto”, ha giustificato l’attacco alle università». Non si può oggi dire se altri seguiranno l’esempio dello studioso di Yale e dei suoi colleghi.
Gli Usa, il sistema di ricerca e cultura più grande e rilevante, rischiano non solo “uscite” significative, ma anche mancati ingressi dall’estero. Su Facebook, Marcello Ienca, giovane e brillante esperto di etica delle neurotecnologie attualmente all’Università Tecnica di Monaco di Baviera, consulente di Ocse e Onu, ha affermato che non si recherà in America ai convegni cui era stato invitato.
Uno scenario che si poteva prevedere in base alla postura antiintellettualistica del presidente e dei suoi ispiratori e collaboratori e che, probabilmente, non li preoccupa. Non è elegante citarsi, ma Avvenire – in un mio articolo del 23 dicembre 2023 – già scriveva: «Con un Trump bis scatenato nel contrastare la cultura woke, proibire nelle scuole i libri che esaltano il ruolo delle minoranze, spingere per una stretta su alcuni diritti civili, l’Europa con il suo spazio di valori e principi condivisi, potrà diventare il nuovo polo d’attrazione. Perché non immaginare che qualche grande produttore cinematografico sia tentato di trovare casa (pur provvisoria) a Cinecittà? Oppure che un dipartimento di Harvard si trasferisca a Parigi».
Per ora è il Canada, più vicino, ad attirare cervelli. Ma la Ue, Italia compresa, dovrebbe attrezzarsi tempestivamente per diventare terra di approdo e accoglienza per studiosi in cerca di un ambiente più aperto e favorevole.