Gli Stati Uniti hanno fissato a 45mila il numero massimo di rifugiati da accogliere nel Paese nel corso del 2018, un dato nettamente inferiore a quelli degli anni precedenti che illustra l'intenzione di Washington di dare priorità alla sicurezza nazionale. A riferirlo sono stati funzionari del governo sotto anonimato. Il programma di accoglienza americano ha riguardato quasi 85mila persone nel 2016 e 54mila nel 2017, cifra leggermente superiore al tetto di 50mila fissato da Donald Trump poco dopo il suo insediamento alla Casa bianca. Per l'anno fiscale 2018, che inizia domenica, l'Africa ha la quota maggiore (19mila), seguita da Asia del Sud (17mila), Asia orientale e Medio Oriente (5mila), Europa e Asia Centrale (2mila) e America Latina-Caraibi (1.500).
"La sicurezza del popolo americano è la nostra prima preoccupazione e vogliamo garantire che il programma di accoglienza dei rifugiati sia a beneficio di quanti hanno diritto a questa protezione e che non siano noti come un rischio per la sicurezza del nostro Paese", ha spiegato un membro dell'Amministrazione.
I guai di Trump
Mentre continuano le polemiche tra la lega di football Nfl e Donald Trump sul presunto mancato rispetto per l’inno nazionale da parte degli atleti, il presidente Usa ha subito la prima sconfitta elettorale dal suo arrivo alla Casa Bianca. Nelle primarie repubblicane per la scelta del candidato al Senato nello stato dell'Alabama, il candidato sostenuto dal presidente e dall'establishment del partito, Luther Strange, è stato infatti sconfitto dall'ultraconservatore Roy Moore, appoggiato anche da Steve Bannon e Sarah Palin. Moore ha ottenuto il 54,6% dei consensi.
“Congratulazioni a Roy Moore per la sua vittoria nelle primarie dell'Alabama", è stato il commento di Trump su Twitter. "Ora vinci a dicembre", ha aggiunto il tycoon, riferendosi alla sfida di Moore con il democratico Doug Jones per un seggio in Senato. La vittoria di Moore rappresenta però un nuovo schiaffo per Trump e il Grand Old Party, che aveva fatto campagna elettorale per Strange, e un successo personale per Steve Bannon. "L'establishment del partito repubblicano è in ginocchio", ha detto l'ex capo stratega della Casa Bianca, che ha parlato di "vittoria a mani basse". "Grazie a voi, stasera, l'establishment è stato SCONFITTO in Alabama!" ha twittato da parte sua Moore.
Appena poche ore prima, il leader della maggioranza in Senato Mitch McConnell aveva annunciato che i repubblicani alla Camera alta non voteranno la proposta di legge Graham-Cassidy per l'abolizione dell'Obamacare, uno degli obiettivi principali di Trump. Al termine di una riunione a porte chiuse con altri congressisti repubblicani, è infatti apparso evidente che al Grand Old Party mancavano i voti necessari per approvare la riforma con maggioranza semplice. Dopo John McCain dell'Arizona e Rand Paul del Tennessee, anche la senatrice Susan Collins si è infatti detta pronta a votare contro il nuovo disegno di legge, affossando così definitivamente la proposta, visto che il Gop poteva permettersi soltanto due defezioni. "Se fallirete nell'abolire l'Obamacare lavorerò per un compromesso con i democratici", ha tuonato Trump, che ora punta tutto sulla riforma fiscale che, ha promesso, sarà la più imponente dai tempi di Ronald Reagan.
La polemica con la Nfl
Il presidente nelle ultime ore è intanto tornato a parlare della polemica nata con i giocatori di football americano che continuano a inginocchiarsi durante la cerimonia dell'inno nazionale, per denunciare le violenze della polizia contro le minoranze. Su Twitter, Trump ha scritto che la Nfl "ha ogni sorta di regolamenti e regole. L'unica via da seguire per loro è quella di stabilite una regola che vieti di inginocchiarsi nel corso dell'inno nazionale!". Dopo il primo esempio di un giocatore di football che ha deciso di inginocchiarsi, attirando l'ira di Trump (che ha chiesto di cacciarlo), le critiche del presidente hanno spinto centinaia di giocatori e le loro squadre a schierarsi contro e inginocchiarsi o abbracciarsi in segno di solidarietà.
Il partito repubblicano, da parte sua, ha lanciato una campagna di raccolta fondi denominata "Sì, io sto dalla parte del presidente Trump", rivolta in particolare agli americani più “patriottici”. "Siete dalla parte del presidente Trump a favore della bandiera, della nazione e dei nostri eroi?", è la domanda retorica contenuta in una delle email inviate agli elettori repubblicani. "Dobbiamo onorare i nostri eroi, questa nazione e tutto quello in cui crediamo". Ed ovviamente il modo più rapido di farlo è quello di "fare oggi una donazione".