Trump rilancia la sfida: muro al confine col Messico e abolizione dell'accordo Nafta (Ansa)
Minaccia il blocco delle attività di governo se non otterrà il muro con il Messico, preannuncia la grazia per Joe Arpaio, lo sceriffo giustizialista condannato per aver arrestato illegalmente centinaia di immigrati, anche regolari. E, soprattutto, durante un comizio in stile elettorale in Arizona che ha calamitato i suoi sostenitori più acritici, Donald Trump indica gli arrivi dal Messico come l’ostacolo principale alla sicurezza e alla «grandezza dell’America», e i media come il nemico numero uno al compimento del suo programma.
«Sono totalmente impegnato a battermi per la nostra agenda e non ci fermeremo finché il lavoro non sarà fatto», ha detto il presidente statunitense parlando a ruota libera di fronte ad alcune migliaia di elettori osannanti, che non riempivano però del tutto il centro conferenze di Phoenix. Quindi ha spuntato la sua lista di obiettivi per l’autunno: oltre al muro al confine meridionale Usa (che ha promesso di portare a termine anche a costo di trascinare in rappresaglia il governo federale allo “shutdown” per dare una lezione ai «democratici ostruzionisti che mettono la sicurezza di tutti gli americani a rischio»), anche l’abolizione dell’accordo di libero scambio con Messico e Canada, il Nafta, e la riforma fiscale.
Progetti che in realtà gli sarà difficile realizzare, e non solo per colpa dell’opposizione. La tensione fra il capo della Casa Bianca e il capogruppo repubblicano al Senato Mitch McConnell, accusato pubblicamente da Trump di non fare il suo lavoro, è infatti arrivata al punto che i due da un paio di settimane non si rivolgono la parola. Il leader della maggioranza ha persino fatto filtrare alla stampa i suoi forti dubbi che il tycoon possa ormai «salvare la sua presidenza» prima che questa si disintegri.
Il rapporto in questi termini fra il capo dell’esecutivo e il suo braccio destro, in teoria, in Congresso non lascia sperare di vedere grossi sforzi da parte dei senatori repubblicani per portare a termine il programma di Trump. Ma McConnell non è il solo a temere che l’inquilino di Pennsylvania avenue sia capace di svolgere il suo incarico. «Io veramente mi chiedo se sia in grado di essere presidente, non credo di avere visto ed ascoltato mai da un presidente qualcosa di così inquietante», ha commentato ieri James Clapper, ex direttore della National Intelligence sotto presidenti democratici e repubblicani, che si è detto preoccupato per l’accesso del magnate ai codici nucleari: «Se in un attacco di rabbia, decide di fare qualcosa contro Kim Jong Un, ci sarebbe veramente molto poco da fare per fermarlo», ha concluso.
Sul fronte estero intanto l’Amministrazione Trump ha adottato la linea dura con l’Egitto, al quale ha bloccato i 95,7 milioni di dollari in aiuti destinati al Paese e rimandato la concessione di altri 195 milioni a causa della mancanza di passi avanti nel rispetto dei diritti civili e della democrazia. Una decisione lamentata dal presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi e dal ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ieri durante un incontro con Jared Kushner, consigliere della Casa Bianca e genero del presidente americano, e che aveva portato in un primo momento alla cancellazione dell’incontro tra Shoukry e Kushner.
Al-Sisi ha espresso comunque a Kushner «l’intenzione dell’Egitto di rafforzare le relazioni tra i due Paesi e di proseguire il coordinamento con l’amministrazione americana per sviluppare la cooperazione bilaterale», mentre il ministero degli Esteri del Cairo, in un comunicato, si è detto rammaricato della misura che avrà «effetti negativi» nelle relazioni strategiche che legano i due Paesi da decenni.