Dopo i sospetti aiuti all’elezione del nuovo presidente, dopo l’offerta di diventare «migliori amici», dopo le accuse Usa di complicità russe in un crimine di guerra, ora c’è una “tregua”. L’otto volante delle relazioni fra gli Stati Uniti di Donald Trump e la Russia di Vladimir Putin ha vissuto ieri una nuova giornata di tensione e di messaggi contraddittori, ma anche un tentativo di sospendere il biasimo reciproco e di trovare una zolla di terreno comune, possibilmente solida. La missione del segretario di Stato Usa Rex Tillerson a Mosca, preceduta dal suo avvertimento che la Russia doveva rinunciare al sostegno del dittatore siriano Bashr al-Assad e dalla dichiarazione della Casa Bianca che il Cremlino ha «fornito supporto e copertura propagandistica» all’attacco chimico siriano, si è conclusa con alcune dichiarazioni distensive. Sebbene sia stato accolto freddamente e tenuto per ore in attesa di un incontro con Putin che inizialmente gli era stato negato (non capitava a un segretario di Stato Usa dalla seconda guerra mondiale) il capo della diplomazia americana alla fine ha parlato di un «incontro produttivo». Il suo omologo, Sergeij Lavrov, non ha nascosto che lo stato dei rapporti tra Usa e Russia «non è dei più idilliaci», ma ha evidenziato alcuni passi avanti. Le due potenze hanno deciso di appoggiare all’Onu (dove ieri Mosca ha fermato un’altra ri- soluzione anti-Assad) «un’indagine indipendente e dettagliata» sul recente attacco al sarin contro i civili a Idlib. E hanno ribadito l’obiettivo comune di una «lotta implacabile» per sconfiggere il Daesh. Mutuo è anche l’impegno per una «soluzione diplomatica alla guerra civile in Siria».
A tal fine, Putin ha riavviato i «contatti fra le forze dei due Paesi» operative in Siria teso ad evitare incidenti aerei, che aveva cancellato dopo il raid americano contro la base siriana di Sharyat. Impossibile dire con certezza se sia vera intesa, come non era chiaro fino a ieri quanto fosse profonda la tensione fra le due potenze. Ma, almeno di facciata, è emerso ieri uno sforzo a migliorare i canali di dialogo diretto. Il ministro degli Esteri di Mosca si è dunque augurato che «le ore passate con Tillerson non siano state spese invano» e che Washington segua alle aperture russe, evitando reazioni impulsive «contrarie agli interessi americani». La paura russa sembra essere quella di nuove uscite imprevedibili da parte di Trump, che suscitato scalpore in Russia: ieri ha chiamato Assad un «animale » per l’uso dei gas e ha aggiunto che Putin dà sostegno ad «una persona diabolica, molto negativa per il genere umano». Trump ha lasciato però che fossero soprattutto il suo segretario di Stato e il suo ambasciatore all’Onu a fare la voce grossa contro Putin. Proprio mentre Tillerson incontrava Lavrov, al Palazzo di Vetro infatti Nikki Haley lanciava un ultimatum al Cremlino, sostenendo che «la Russia si isola dalla comunità internazionale ogni volta che Assad lancia un’altra bomba» e che «deve smettere di coprire Assad» e «schierarsi al fianco del mondo civilizzato ». In risposta, Mosca ha dichiarato «inaccettabile» la nuova bozza di risoluzione sull’attacco chimico in Siria elaborata da Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Mentre Putin in un’intervista dichiarava che «il livello di fiducia fra Stati Uniti e Russia non è migliorato, forse si è anche deteriorato» dall’insediamento di Trump. Il clima “disteso” nella conferenza stampa serale fra i due diplomatici è dunque stato o un notevole passo avanti rispetto alle ore precedenti o un nuovo ruolo nel gioco delle parti che gli ex nemici della Guerra fredda si trovano a giocare, soprattutto sul campo mediorientale. Relativamente marginale è apparsa invece la questione ucraina.
Segnali di distensione pure da Washington, dove Trump ha incontrato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Per gli Stati Uniti e per la Nato «sarrebbe meglio andare d’accordo con la Russia» ma ora non è così, ha sottolineato il presidente Usa. La Nato, ha aggiunto «non è più obsoleta » ma è «il baluardo della pace e sicurezza internazionale», ha aggiunto. Per definire poi Assad un «macellaio». La Siria, dunque, è il vero nodo da sciogliere e soprattutto la permanenza o meno di Assad al potere e la gestione di un eventuale dopo-Assad. Un elemento sul quale Mosca ieri ha fatto un piccolo gesto di apertura, dichiarando che in Siria, non punta «né su Assad né su chiunque altro». Anche se Assad, parola di Tillerson, ha «usato almeno 50 volte cloro e altre armi chimiche».