Donne in lacrime a Macallè dopo un attacco aereo compiuto dall’esercito etiope - Ansa
Dopo il massacro finora senza colpevoli di tre operatori sanitari, dopo otto mesi di minacce e intimidazioni a medici e infermieri in una guerra feroce, dove sparare sulle ambulanze o requisirle è la norma e dove si ha paura di denunciare per evitare ritorsioni, arriva un segnale fermo da Medici senza frontiere (Msf). Giovedì scorso l’Ong, Nobel per la pace 1999, ha annunciato la sospensione temporanea delle attività nelle città di Abi Adi, Adigrat ed Axum, nel Tigrai centrale e orientale. Le équipe continueranno «con prudenza» a fornire assistenza ai casi urgenti. Msf ha resistito sul campo in condizioni estreme dai primi giorni di guerra in Tigrai, nel novembre 2020.
Ha tenuto aperti i pochi ospedali rimasti in piedi e danneggiati assicurando i servizi essenziali ai più fragili, ha girato per i distretti rurali rimasti isolati, superando i posti di blocco che mutavano in continuazione in base agli esiti mutevoli del conflitto. Poi il 24 giugno María, Tedros e Yohannes, che indossavano la pettorina dell’Ong, viaggiavano su un’auto con il simbolo ben riconoscibile e operavano come prevede il diritto umanitario internazionale in pieno accordo con i belligeranti – le truppe federali etiopi e gli alleati eritrei da una parte e le forze di difesa tigrine dall’altro – sono stati uccisi. Le conseguenze della sospensione nelle tre aree sono pesanti. Negli ultimi sei mesi, i team di Msf hanno fornito qui cure mediche di emergenza a 9.500 persone aiutando a partorire oltre 3.300 donne, con 365 cesarei di emergenza e fornito cure mediche a 335 vittime di violenza sessuale. Una scelta sofferta, ma obbligata. «A quasi due settimane dall’uccisione, nessuno ha fatto luce sulle responsabilità e le circostanze che hanno portato alla morte dei nostri colleghi – ha dichiarato Teresa Sancristoval, direttrice delle operazioni di Msf –. Chiediamo un’immediata indagine da parte delle autorità competenti per chiarire la dinamica dell’incidente e fornirci un resoconto dettagliato di quanto accaduto. L’omicidio dei nostri tre colleghi è un tragico esempio del totale disprezzo per la vita umana che le nostre équipe testimoniano in questo conflitto. I livelli di violenza contro i civili e le atrocità commesse nel Tigrai sono a dir poco scioccanti».
Non si conosce il numero dei morti di questa guerra oscurata che per il premier etiope Abiy Ahmed – che si avvia a un nuovo mandato visto che ieri ha fatto annunciare la sua vittoria al voto del 21 giugno con 421 seggi su 436 – era un’«operazione di polizia interna» contro il governo regionale del Tplf, ma le conseguenze più pesanti le stanno pagando i bambini. Un mese fa la Associated Press denunciava un fatto che è lo specchio di questo conflitto. Ben 32 bambini sono stati ricoverati nell’ospedale Ayder Referral di Macallè con ferite da esplosione tra dicembre e aprile dopo i bombardamenti sulla sola città di Hawzen. A 13 di loro sono stati amputati gli arti. Un recente rapporto dell’Unicef stima in più di 720mila i bambini sfollati, quasi un terzo del totale. Sul fronte dei combattimenti, le forze di difesa tigrine, Tdf, si preparano all’offensiva per riconquistare la parte occidentale della regione occupata dalle milizie regionali Amhara per rompere l’isolamento cui è sottoposta dal 28 giugno, quando il premier etiope, Nobel per la pace 2019, ha ritirato le truppe dichiarando un cessate il fuoco unilaterale per motivi umanitari.
A Humera città al confine tra Sudan ed Eritrea le forze Amhara hanno dato 24 ore di tempo di ultimatum alla popolazione tigrina per lasciare la città Intanto sono stati distrutti in 10 giorni tre ponti sul fiume Tekezè sui quali transitavano il 60% degli aiuti umanitari. Mercoledì ancora una volta Washington ha chiesto al governo etiope con una telefonata del Segretario di Stato Antony Blinken ad Abiy un «immediato, negoziato e permanente» cessate il fuoco e il completo ritiro delle forze armate eritree e di quelle regionali ahmara e la garanzia di un accesso umanitario totale e sicuro. Il parlamento di Addis Abeba intanto si è detto preoccupato per il costo del conflitto, stimato in un miliardo di dollari. E in una intervista ripresa venerdì da siti vicini al Tplf, lo stratega tigrino Tsadkan Gebretensae, generale a riposo dell’esercito etiope, ha dichiarato, come sostengono diversi esperti, che in Tigrai le truppe federali etiopi e quelle eritree sono state sconfitte militarmente dal Tdf rafforzato negli alti comandi da ufficiali tigrini dell’esercito etiope che, come lui, hanno scelto di difendere la propria gente applicando tattiche di guerriglia che hanno reso il Paese inespugnabile.
Gebretensae ha accusato il premier di dichiarare il cessate il fuoco e contemporaneamente voler strangolare il Tigrai. Ha confermato che i prigionieri di guerra etiopi sono più di 8.000 e che, se non si romperà l’assedio e senza il ritiro degli eritrei dal territorio, le armi nella martoriata regione non taceranno.
<+RIPRODUZ_RIS>