Sarebbe almeno 63 i civili uccisi dalle forze del regime nella giornata di protesta di ieri in Siria. Lo afferma oggi l'organizzazione per i diritti umani siriana Sawasiah. Cinquantatre persone, specifica l'organizzazione, sarebbero state uccise a Hama, sette a Rastan, due nella provincia di Idlib ed una a Damasco. Ieri testimoni ed attivisti parlavano di oltre 50 morti.
SPARI SULLA FOLLA NEL VENERDI' DI PROTESTAOscurato Internet fin dalla mattinata: il dodicesimo venerdì di protesta si è aperto all’insegna della censura. Impossibile accedere alla rete se non con connessioni satellitari. I bastoni del regime di Bashar al-Assad a bloccare le ruote della rivolta siriana: ma il tam tam degli oppositori, come da tre mesi a questa parte, aveva già dato appuntamento a tutti appena finita la grande preghiera di mezzogiorno. È il dodicesimo venerdì di protesta, il “Venerdì dei bambini” indetto su blog e siti Internet per commemorare gli almeno 30 minori uccisi a colpi di armi da fuoco nei cortei iniziati a marzo. Cortei quasi ovunque, tensione subito sfociata in sangue: i Comitati della rivolta a Rastan – nel centro del Paese – sono i primi a riferire di colpi d’artiglieria e raffiche di armi automatiche sulla folla. Due vittime. Sono solo le prime della giornata.Proteste – sempre stando alle segnalazioni dei ribelli – pure nella città orientale di Deir al-Zor, come a Qamishli, dove secondo gli attivisti sono scesi in piazza almeno 5mila. Altri 10mila uomini avrebbero marciato nel villaggio di Amouda. Cortei in una quarantina di città, compresi dei sobborghi di Damasco, e a Daraa, l’epicentro della prima fiammata della rivolta, quella di metà marzo.Ma ieri è Hama, importante centro a Nord della capitale, a mobilitarsi: 50mila si sono riversati per strada lanciando la sfida al regime. Una prova di forza a cui il governo ha deciso di replicare, ancora una volta, con la repressione. Colpi di arma da fuoco in aria, e poi artiglieria e raffiche ad altezza d’uomo. Almeno questo denunciano gli attivisti nei frammenti di notizie che giungono dai telefoni satellitari degli attivisti e dalle crepe della cortina di ferro mediatica: all’inizio del pomeriggio i morti sono 10. In un paio d’ore i ribelli denunciano 67 perdite. Alla fine, secondo fonti mediche e attivisti, sono oltre 50 le vittime accertate, un centinaio i feriti. «I colpi d’arma da fuoco sono stati sparati dai tetti sui manifestanti. Ho visto decine di persone cadere a terra in piazza Assi. Il sangue era ovunque», ha dichiarato alla
Reuters un testimone che ha detto di chiamarsi Omar. «Mi sembrava che i feriti fossero a centinaia ma ero preso dal panico e stavo cercando riparo. I funerali dei martiri sono già cominciati», ha aggiunto lo stesso Omar. Per la televisione che ha smentito le altre proteste, Hama sarebbe invece in mano a gang criminali e sabotatori: tre di questi, secondo i media ufficiali, sarebbero stati uccisi dalle forze dell’ordine mentre davano alle fiamme un palazzo governativo. Una cieca repressione che la comunità internazionale, dopo aver inasprito le sanzioni, non potrà ingnorare più a lungo: giovedì il segretario di Stato Hillary Clinton aveva avvisato che la legittimità di Assad «è quasi finita». Ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto preoccupato per l’escalation delle violenze perpetrate dal governo. Una violenza di Stato in spregio ad ogni legalità internazionale e una contabilità già troppo pesante: dall’inizio delle proteste di marzo, riferiscono dal palazzo di Vetro, sono ormai più di mille i morti.
Luca Geronico