La Camera dei Rappresentanti americana ha approvato nella notte in via definitiva la riforma sanitaria, che allarga la copertura assicurativa a quasi tutti i cittadini e segna per il presidente Barack Obama una storica vittoria. La riforma, che introduce i più importanti cambiamenti degli ultimi quarant'anni nella politica sanitaria americana, è stata approvata per 219 voti contro 212 contrari. Perché diventi legge, ora serve la firma di Obama.La riforma allarga la copertura a 32 milioni di americani, estende il piano sanitario governativo per gli indigenti, introduce nuove tasse per i ricchi e vieta alle assicurazioni pratiche come il rifiuto della copertura a chi abbia patologie preesistenti.Il voto corona una battaglia politica lunga un anno, nella quale i repubblicani hanno fatto una durissima opposizione e il tasso di approvazione di Obama è calato. «Questa legge non aggiusta tutto ciò che non funziona nel nostro sistema sanitario, ma ci muove decisamente nella giusta direzione. È questo il cambiamento», ha commentato Obama dopo il voto.I deputati democratici si sono abbracciati e hanno festeggiato quando è stato raggiunto il «numero magico», 216, e hanno urlato: «Yes we can». Hanno votato contro la riforma tutti i repubblicani e 34 democratici.L'approvazione comunque è arrivata grazie a un compromesso dell'ultima ora tra Obama e un gruppo di deputati democratici pro-life. Il vero problema, infatti, su cui la riforma sanitaria ha rischiato di non passare riguarda i massicci finanziamenti federali all'aborto che essa prevede. In cambio del voto favorevole di un gruppo di democratici pro-life il presidente ha promesso un "ordine esecutivo" che impedirà il finanziamento dell'aborto con fondi federali. Ma il compromesso trova tutte le organizzazioni pro-life fortemente contrarie e anche dalla Conferenza episcopale cattolica era venuto un "no" deciso quando l'accordo si stava profilando. Le obiezioni al compromesso sono essenzialmente due: anzitutto ci sono forti dubbi sul fatto che Obama manterrà la promessa di firmare l'ordine esecutivo, considerata la sua ben nota posizioen abortista; in secondo luogo si considera che un ordine esecutivo non è in grado di fermare i diversi modi in cui i fondi federali possono andare a finanziare gli aborti.Richard Doerfinger, della Conferenza episcopale statunitense, poco prima del voto ha inviato una nota ai deputati chiave facendo proprie queste preoccupazioni: "Ci siamo consultati con esperti legali su questa proposta di risolvere il problema del finanziamento all'aborto con un ordine esecutivo - ha scritto Doerfinger -. Sappiamo che i rappresentanti stanno cercando di trovare una via d'uscita in buona fede, con l'obiettivo di limitare i danni causati dalle aperture all'aborto della riforma. Ma purtroppo, questa proposta non comincia neanche ad affrontare il problema, che nasce da decenni di decreti federali che applicano i princìpi della Roe v. Wide (la sentenza della Corte Suprema che nel 1973 introdusse l'aborto negli Usa,
ndr) alla legislazione sanitaria federale". "A causa di questi decreti la legislazione sanitaria crea un finanziamento legale dell'aborto, a meno che il Congresso non lo proibisca esplicitamente"."Questo è il motivo - continua la nota del rappresentante dei vescovi - per cui nel 1976 c'è voluto l'emendamento Hyde per evitare che il programma Mediaid finanziasse 300mila aborti l'anno". Per cui, conclude Doerfinger, "i nostri esperti legali sono unanimi nel ritenere che in questa situazione qualsiasi ordine esecutivo o regolamento sarà facilmente spazzato via da qualsiasi ingiunzione di tribunale".