Invisibile, dunque perfetta. Rimsha Masih rappresentava – almeno in teoria – il capro espiatorio ideale. Povera, come quasi tutti nel sobborgo di Mehrabadi, donna – in una società dalla marcata cultura patriarcale –, malata – soffre di un grave ritardo mentale –, la 14enne riuniva in sé le caratteristiche del bersaglio fin troppo facile da colpire. Soprattutto quella di appartenere a una minoranza religiosa. Rimsha era ed è cristiana, una comunità da sempre vulnerabile in Pakistan. Punire, accusandola di blasfemia, questa ragazzina fragile era un’occasione ghiotta per alcuni fanatici islamici e arrivisti locali per castigare l’intera collettività. Qualcosa, però, non ha funzionato. L’estrema vulnerabilità di Rimsha è diventata la sua forza quando, grazie alle coraggiose denunce degli attivisti, il caso è rimbalzato sui media di mezzo mondo. E la ragazzina ha smesso di essere invisibile. Tanto da essere oggetto di attenzione da parte delle cancellerie internazionali, dall’Italia agli Stati Uniti. Ora il “gioco al massacro” si è ritorto contro i suoi stessi inventori. Da ieri, non solo Rimsha Masih è libera. La sua vicenda ha mostrato dentro e fuori al Pakistan gli abusi che, troppo spesso, si nascondono dietro la legge anti-blasfemia. E la campagna per ridurre l’arbitrio con cui viene applicata la normativa – che può portare fino alla condanna a morte – ha acquisito nuovo slancio. Certo, Rimsha e la sua famiglia hanno pagato un prezzo salato. L’adolescente è rimasta per 22 giorni nel carcere di Rawalpindi. Fin quando ieri, dopo una serie sfibrante di rinvii e trabocchetti burocratici, il giudice Muhammad Azam Khan ne ha ordinato il rilascio perché minorenne e disabile. Formalmente l’adolescente è stata liberata su “cauzione”. In realtà, il termine è improprio. Il magistrato ha accettato due garanzie da 500mila rupie ciascuna (9mila euro in tutto). La cifra, però, è solo nominale, cioè non è stata corrisposta dal garante, l’All Pakistan Minority Alliance (Apma), il partito di Paul Bhatti che si batte per i diritti delle minoranze. Questa dovrà essere pagata solo in caso Rimsha non si presenti alle future udienze. La ragazza, intanto, si è riunita alla famiglia. Ma non è potuta rientrare a casa per paura di attentati. Per farla uscire indenne dall’aula, il giudice ha dovuto anticipare all’ultimo la sentenza. Ora, i Masih si trovano in luogo sicuro sotto la protezione dell’Apma.Nel frattempo il caso procede. Il ministro dell’Interno, Rehman Malik, ha formato una commissione nazionale per arrivare all’epilogo definitivo. Che sembra imminente date le dichiarazioni di ieri al senato di Malik. Quest’ultimo ha scagionato Rimsha, dicendo che la ragazza non è mai uscita di casa e dunque non si è potuta recare nella discarica a bruciare le pagine del Corano. Le ceneri trovate in suo possesso erano di legno e non di carta, ha aggiunto. «Sono felicissimo», ha dichiarato Misrek Masih, il papà di Rimsha ad AsiaNews. Mentre Mobeen Shahid, islamista della Pontificia Università Lateranse, dice ad Avvenire che è stata «una vittoria». Per la prima volta, infatti, dagli anni Ottanta, è stato l’accusatore a finire sotto processo. Ovvero l’imam Khalid Jadood Christi arrestato sabato perché indicato da vari testimoni come l’autore delle false prove. Christi avrebbe mischiato alcune pagine bruciacchiate di un compendio del Corano tra le ceneri con cui giocava Rimsha, nella discarica accanto alla sua casa. E lo avrebbe fatto – dicono i testimoni – per appropriarsi, in combutta con le mafie locali, dei terreni dei cristiani di Mehrabadi. Scacciando la comunità dalla zona avrebbe ottenuto – rivelano fonti pachistane – un appezzamento su cui costruire una madrassa, una scuola coranica. Per quest’ultima, l’imam non ha esitato a vendere la vita e la libertà di Rimsha. Che, però, è di nuovo libera.
Il giudice Khan ha anticipato a sorpresa il verdetto alla mattina per impedire attacchi dei fanatici musulmani. La garanzia richiesta dovrà essere versata solo se l’adolescente non si presenterà alle prossime udienze. La ragazzina si trova in un luogo sicuro assieme alla famiglia. Il ministro dell’Interno: non ha bruciato il Corano.
CRISTIANI PERSEGUITI, VAI AL DOSSIER >>
CRISTIANI PERSEGUITI, VAI AL DOSSIER >>
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: