Un tempo il Dalai Lama lo facevano passare dalla porta di servizio della Casa Bianca per paura di «urtare» la sensibilità di Pechino. Ad ogni incontro di delegazioni occidentali con i vertici cinesi, le organizzazioni umanitarie ricordavano all’opinione pubblica il «problema dei diritti umani» sempre «dimenticato quando si trattava di fare affari» con il Paese che detiene ancora una buona quota, per esempio, del debito pubblico americano. E la risposta delle autorità di Pechino era comunque sempre la stessa: non accettiamo ingerenze nella politica interna del nostro Paese.
Della serie: se volete fare affari con noi, se avete bisogno dei nostri investimenti, non parlare dell’argomento tabù, non sfiorate nemmeno la questione dei diritti umani. Così, mentre Liu Xiaobo consumava le sue ultime ore di vita nel letto di un ospedale, chiedendo soltanto di aver la dignità di lasciare il Paese per essere sottoposto a una cura adeguata alle sue condizioni terminali di malato di cancro al fegato, nel silenzio assoluto la questione è scivolata via. Compreso l’imbarazzato silenzio dei Paesi più potenti del mondo schierati al vertice dei G20 di Amburgo catalizzato da Angela Merkel, Trump o Macron. Nessun parola, nessun comunicato, nessun riferimento al Premio Nobel.
Solo una nota, poche ore prima che la Cina comunicasse la morte del dissidente, da parte di Germania e Stati Uniti per rinnovare l’appello affinché gli venisse concesso di recarsi all’estero per cure. Ben sapendo che, qualche ora prima, le stesse agenzie di stampa internazionali avevano annunciato per «imminente» la morte dell’intellettuale, ormai non era più in grado di respirare da solo. Un gioco delle parti a dir poco imbarazzante, da parte di molti. Un silenzio assordante sulla condizione dei tanti Liu che ancora vivono o sono detenuti nel Paese che si sta “comprando” una fetta consistente di mondo. In serata, e solo dopo l’annuncio della morte, un segnale (tiepido) è arrivato dagli Usa: il segretario di Stato Rex Tillerson ha chiesto a Pechino di liberare dagli arresti domiciliari la vedova e di consentirle l’espatrio. A ruota anche la Ue. con Tusk e Juncker.