
L’ambasciatore Pier Francesco Zazo
Non solo i “segnali” anche le informazioni sull'imminente attacco russo contro l’Ucraina c’erano tutti. Ma le cancellerie europee non vollero prendere sul serio gli avvertimenti. Fu in quel contesto che l’allora ambasciatore italiano a Kiev Pierfrancesco Zazo (unico tra gli europei, insieme alle rappresentanze francese e vaticana, a non lasciare mai scoperta la presenza diplomatica) chiese all’Unità di crisi della Farnesina di inviare una missione in Ucraina per approntare i piani di emergenza per l’evacuazione dei connazionali. Una decisione che si rivelerà indovinata, permettendo di portare al sicuro nonostante il conflitto centinaia di italiani e intanto assistere l’Ucraina sul piano internazionale fin dal primo attacco russo. Nonostante Kiev, fino ad allora, guardasse con diffidenza alle politiche di Roma. Da luglio 2024 Zazo è in congedo. Le immagini del diplomatico che durante i bombardamenti suonava il pianoforte per i bambini italiani rifugiati nella sua residenza fecero il giro del mondo. E in questa intervista ad “Avvenire” rivela notizie che gettano nuova luce sul conflitto.
Quando si convinse che oramai sarebbe stata questione di ore?
Pochi giorni prima i colleghi americani ed inglesi ci avvertivano che l’invasione era ormai imminente ed inoltre vidi che i russi chiusero la loro Ambasciata bruciando tutti i documenti. Ricevetti poi un’informazione sorprendente da fonti non diplomatiche né di intelligence e che significava due cose: la Russia stava per attaccare l’Ucraina e a Mosca pensavano che sarebbe stata una passeggiata, che a Kiev la gente li avrebbe accolti senza troppo obiettare. Attraverso quella informazione ebbi la conferma che al Cremlino, dove si illudevano ancora che le popolazioni ucraine russofone fossero anche russofile, non avevano compreso nulla dell’Ucraina degli ultimi anni.
Di che genere di notizia si trattava?
Alcuni miei conoscenti ristoratori mi informarono, con loro sorpresa, che un gruppo di cittadini russi, che poi da una successiva verifica risultarono essere dei generali, aveva tranquillamente prenotato diversi tavoli nei loro ristoranti per i giorni successivi lasciando i loro nomi. Proprio le date in cui la guerra è poi effettivamente scoppiata. Evidentemente pensavano di non incontrare resistenza e di poter soggiornare nella capitale ucraina come se si trovassero a Mosca.
Lei come aveva visto cambiare invece l’Ucraina?
Ho potuto fare tesoro delle mie precedenti esperienze diplomatiche sia a Kiev, oltre venti anni fa dal 1999-2002, e successivamente a Mosca. Mi ha poi facilitato parlare il russo. Venti anni fa era un Paese diviso a metà: l’Ucraina occidentale guardava all’Europa, quella orientale alla Russia. Ma la prima cosa che ho subito notato al mio ritorno a Kiev dopo oltre venti anni è stato vedere un Paese profondamente cambiato, rafforzato nella sua identità nazionale, anche a causa del trauma provocato dall’annessione della Crimea e della guerra nel Donbass dal 2014 e delle continue minacce di Putin. Mi avevano soprattutto colpito le giovani generazioni che guardano all’Occidente, sono attratte dall’Europa e non dal modello autoritario offerto dalla Russia. Non è un caso che alle ultime elezioni i partiti filorussi avessero raggiunto solo il 13 % dei voti (in maggioranza espressi da persone anziane).
Nel 2021 proprio il presidente russo pubblicò un controverso documento sull’unità storica delle genti di lingua russa. Come venne recepito?
Per me fu il vero campanello d’allarme. Parlava dell’unità storica del popolo russo e di quello ucraino. Intendeva dimostrare l’appartenenza all’unico popolo russo, negando la legittimità dell’esistenza di uno stato ucraino indipendente e separato dalla madrepatria russa. Quello che molti non comprendono è che in Russia la storia è politica. E il mito fondamentalista del “russkiy mir” (mondo russo) è la chiave di lettura per capire a cosa ambisce Putin.
Quali erano i suoi rapporti con la leadership ucraina? Come vedevano l’Italia prima della guerra?
Il mio lavoro sul piano diplomatico è diventato paradossalmente molto più facile dopo il 24 febbraio 2022. Prima della guerra eravamo considerati “un po’ troppo vicini ai russi nonostante i rapporti di amicizia tra i nostri due Paesi”, secondo le parole usate da Zelensky alla presentazione delle mie lettere credenziali. Ma dopo l’aggressione russa la politica estera italiana è cambiata radicalmente in 24 ore. Abbiamo adottato una posizione filoucraina e siamo diventati un partner affidabile di Kiev con relazioni bilaterali eccellenti, prima grazie al premier Mario Draghi e poi con l’attuale governo Meloni che ha confermato la politica di massimo sostegno e gli ucraini ci sono anche grati per l’eccellente conduzione della Presidenza italiana del G7.