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Trump versus Macron - ANSA
Al ripetersi degli attacchi russi al Presidente della Repubblica si staglia con sempre più nettezza, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la statura internazionale di Sergio Mattarella, statista che sta garantendo una rotta sicura e autorevolezza all’Italia in uno scenario di crisi che si va facendo convulso e complesso. La sua fermezza istituzionale e la sua coerenza democratica non solo lo rendono il punto di riferimento per il nostro Paese, ma stanno anche dando all’Europa l’esempio di come essa può fare risuonare la propria voce unica nel concerto globale.
Mattarella dal 24 febbraio 2022 è stato fermo nel denunciare l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e nel ribadire la necessità di essere al fianco di un popolo aggredito in spregio al diritto internazionale. E neppure ha esitato a respingere al mittente con determinazione le ingerenze di Elon Musk, uomo più ricco del mondo e ispiratore del leader Usa Donald Trump, quando ha detto che i giudici impegnati sul caso dei migranti inviati in Albania avrebbero dovuto dimettersi.
Oggi vediamo una morsa del tutto inedita stringersi sull’Unione europea, chiamata a una sfida che non è eccessivo definire esistenziale. Non perché sia a rischio la sua sopravvivenza: a scomparire potrebbe essere il suo ruolo politico significativo nel mondo, compresso tra il nuovo unilateralismo americano e l’imperialismo espansionistico del Cremlino. È stato detto giustamente che alla Conferenza sulla Sicurezza svoltasi a Monaco lo scorso fine settimana i discorsi del vicepresidente Usa J.D. Vance e del presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno delineato due destini opposti per l’Europa. E appare paradossale che a pronunciarli siano stati due personalità esterne alla Ue.
Il numero due della Casa Bianca – con una improntitudine giustificata, forse, solo da un’eccessiva fiducia nella “grazia di stato” che la sua carica può conferire a un esordiente privo di titoli per tale intemerata – ha messo sotto accusa l’Europa, colpevole di restringere la libertà di parola e di non seguire la linea nativista inaugurata dal tycoon repubblicano. Risulta evidente la contraddizione tra un liberismo populistico che rifiuta regole e interventi dello Stato a tutela dei principi liberali stessi e un’agenda radicalmente restrittiva sull’immigrazione, incentrata sulla limitazione dell’accesso alla cittadinanza, sull’intensificazione delle espulsioni e sulla chiusura dei confini, con l’obiettivo di privilegiare un’identità nazionale esclusiva. Eppure, secondo Vance, chi non si adegua, perderà l’amicizia e il sostegno americano.
Ci sarà tempo di tornare su alcuni punti sollevati nell’intervento che meritano una riflessione, come l’annullamento in Romania di elezioni già svolte, subito segnalato su queste colonne come altamente discutibile. Resta il fatto che l’Europa continua a conservare quelle garanzie e bilanciamenti tra poteri che gli Stati Uniti stanno rapidamente provando a sovvertire al proprio interno, mentre sobillano le opinioni pubbliche contro l’establishment a favore delle forze estreme antisistema ed euroscettiche, sdoganate quali soluzioni a una presunta decadenza di civiltà e valori.
In questo senso, Zelensky ha messo il dito nella piaga di una relazione incrinata fra Ue e Stati Uniti e ha suonato la carica (comprensibilmente, nella sua prospettiva, in aiuto della sopravvivenza del proprio popolo) per un ritrovato orgoglio continentale, capace di condurre alla creazione di forze armate finalmente comuni. «L’Europa ha tutto ciò che serve. Deve solo unirsi e cominciare ad agire in modo che nessuno possa dirle “no”», ha scandito il leader di Kiev, ricevendo un’ovazione tanto più rumorosa al paragone del silenzio che ha accompagnato le parole di Vance.
Lo schiaffo costituito dall’avvio delle trattative di pace per l’Ucraina tra Mosca e Washington, subito ad alto livello, senza una delle parti in causa e senza l’Unione europea che, secondo alcune stime, ha speso di più degli Usa per sostenere le vittime del conflitto (132 miliardi di euro contro 114 effettivamente versati, ma poco si ricorda il grande sforzo d’accoglienza di milioni di profughi in fuga dalle bombe), ha portato ieri a un vertice di emergenza all’Eliseo.
Un incontro definito informale con i principali Paesi membri della Ue, incitati dal premier polacco Donald Tusk e della presidente dalla Commissione, Ursula von der Leyen, a spendere di più per la difesa comune. Sul tavolo c’era e rimarrà – ieri nessun comunicato congiunto al termine della riunione – una presenza ingombrante nelle prossime settimane: il dispiegamento di un contingente europeo in Ucraina a garanzia del cessate il fuoco e come moneta di scambio per il coinvolgimento nelle trattative, cui l’Unione potrebbe partecipare con un proprio inviato (circola il nome di Angela Merkel).
Rimangono tuttavia molti nodi da sciogliere. Anche un ipotetico schieramento di 30mila soldati per operazioni di peacekeeping, pur se non sulla linea del fronte congelato, che regole di ingaggio avrebbe e da chi sarebbe comandato, posto che l’impegno della Nato è escluso? Se la Russia riprendesse le operazioni, anche in modo limitato, si arriverebbe a uno scontro aperto (e gli Usa interverrebbero)? È evidente che siamo di fronte a questioni cruciali che avranno bisogno di più tempo.
L’imperativo è non dividersi (l’Ungheria protesta contro il riarmo, i contadini polacchi sono di nuovo in rivolta contro Kiev) e comprendere la delicatezza del momento al di là di interessi nazionali di breve periodo. Se l’Europa fosse irrilevante, non ci sarebbero gli strali da Mosca e le requisitorie da Washington. È il momento di dimostrare coraggio e lungimiranza, per l’Ucraina e per noi, per il futuro del continente.