Deputato dal 2003 al 2004 nell’Iraqi gouverning council – il Parlamento provvisorio nell’immediato dopoguerra durante l’amministrazione guidata dal proconsole americano Paul Bremer – Hussein Safa durante il regime di Saddam Hussein era generale di brigata dell’aviazione. Ora con Mowfaq al-Rubaie presiede il Consiglio di sicurezza, l’organismo che affianca il premier iracheno Nouri al-Maliki nella stesura e nel monitoraggio del piano di sicurezza nazionale approvato per stabilizzare il Paese. Al Rubaie, pure lui invitato a Como dal Centro Volta per un congresso, non ha potuto lasciare Baghdad: il Parlamento deve approvare l’accordo per il disimpegno graduale delle truppe Usa. Ovvio con Safa partire proprio dall’exit strategy americana.
Hussein Safa, le date del ritiro americano sono fissate mentre a fine gennaio si svolgeranno le elezioni provinciali. Ma molti ora temono che la definizione dello status del centro petrolifero di Kirkuk e la questione curda possano riaprire un grande contenzioso; addirittura c’è chi teme un nuovo conflitto. Timori giustificati?Il ritiro americano sarà graduale e finché resteranno le truppe americane (il 2011) hanno una specifica "mission": dare supporto all’esercito iracheno. Quindi non prevedo un esito drammatico da questo accordo. Quanto alla questione curda, in effetti, rappresenterà in futuro una nuova grande sfida per l’Iraq: in questi giorni c’è stata una animata discussione in Parlamento e il Paese, ne sono certo, riuscirà a fare dei progressi, anche se graduali, data la delicatezza e le molte implicazioni del problema.
Ieri il ministro degli Esteri italiano Frattini ha incontrato il premier iracheno Maliki che ha assicurato essere un «dovere» proteggere la minoranza cristiana. Dopo le polemiche dei mesi scorsi sulla rappresentanza delle minoranze nelle elezioni provinciali e dopo la violenta persecuzione a Mosul, il governo come pensa di garantire la sicurezza dei caldei?La sicurezza resta un problema in tutto l’Iraq, ma una cura particolare deve essere data evidentemente ai cristiani. Certo gli strascichi delle violenze a Mosul hanno portato il governo a prendere misure molto importanti: una speciale mobilitazione dell’esercito iracheno, il cambiamento del comando delle operazioni militari nell’area. Inoltre molti dei responsabili curdi dell’intelligence sono stati assegnati ad alte regioni e sostituiti con personale arabo; e questo nello sforzo di rinforzare notevolmente la presenza dei servizi segreti all’interno di Mosul, un nodo chiave per la sicurezza della città.Ma molte voci della comunità caldea denunciano ancora una mancanza di fiducia. Come pensate di ridare speranza a questa gente, molti dei quali divenuti loro malgrado degli sfollati?A Mosul alcune centinaia di famiglie cristiane, a quanto mi risulta, hanno cominciato a ritornare. Speriamo che altri lo facciamo e questo è per noi un indicatore di fiducia: la sicurezza, come ho detto, è certo un problema e il fatto che si cominci a tornare è un segno di speranza. Quanto agli sfollati, che sono più di un milione, la maggioranza di essi è di musulmani, anche se i cristiani sono percentualmente molti. Per loro il governo ha studiato un piano di interventi e alcune famiglie stanno rientrando anche nei quartieri più disagiati di Baghdad. Solo il progresso della stabilizzazione e della sicurezza può dare a loro delle effettive chance.
Con la lenta uscita di scena degli Usa molti si chiedono se cambieranno gli equilibri politici fra gli sciiti e i sunniti. Guardando al futuro ci si domanda se Teheran non abbia intenzione di trarne vantaggio. È un pericolo reale?Sia gli sciiti sia i sunniti affermano di voler mettere gli uomini giusti nei posti giusti, ma poi in pratica cercano di difendere i loro interessi. Uno degli impegni del Consiglio di sicurezza è infatti quello di trovare soluzioni adatte per dare una giusta rappresentanza a tutta la società, specie nelle forze di sicurezza.Quanto all’influenza di Teheran, ora la situazione è migliorata rispetto a due anni fa: il tempo fornisce da solo degli argini. Ci sono già dei limiti espliciti e con il tempo le differenti visioni politiche e gli interessi economici nazionali creeranno una ancora più netta separazione fra Baghdad e Teheran, una differenza molto più forte di quanto non possa essere la comune presenza sciita, maggioritaria anche in Iraq.
Molti analisti occidentali pensavano che il piano di Condoleezza Rice fosse quello della tripartizione de Paese o, almeno, un forte federalismo. Ora con Obama gli Usa cambieranno gli obiettivi?Francamente non ho avuto l’impressione che gli Stati Uniti appoggiassero questa soluzione: hanno favorito la discussione per la riforma della Costituzione, ma senza incoraggiare una idea specifica...
Hussaein Safa, è possibile la democrazia in Iraq?Ci sono ancora molti timori, ma il piano di sicurezza nazionale sta raggiungendo molti obiettivi: non può esserci una soluzione unica e astratta, ma si tratta di navigare a vista, empiricamente cercando di risolvere ogni nuova sfida. Oggi le elezioni provinciali, domani Kirkuk. Molti guardano alla ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale in Italia come a un buon esempio da imitare.