Mentre missili e colpi di cannone continuano a bersagliare le città dell'Ucraina, ogni sfumatura di ottimismo può essere ampiamente prematura. Eppure, la giornata di lunedì 28 febbraio, quinto giorno di guerra, ha consegnato alcuni messaggi importanti sul fronte della crisi.
Il più importante, da prendere con la massima cautela cui ci costringono le disinformazione e le accelerazioni di Vladimir Putin, è che il Cremlino non sembra più graniticamente certo delle sue carte. Non si tratta solo della coraggiosa resistenza del popolo ucraino. Sul fronte militare l'avanzata è estremamente difficoltosa. Qualcosa non ha funzionato nei piani dei generali, costretti ora a vedersi imporre l'arrivo di brigate cecene, con cui non smaniano di coordinarsi. Ovviamente, la potenziale superiorità russa sul campo non è in discussione. Ma Putin non può ordinare bombardamenti indiscriminati e distruttivi, se vuole conservare una presa sul Paese che non sia solo di terrore. A riequilibrare lo scontro c’è poi l’afflusso di nuovi armamenti dall’Unione Europea verso Kiev. Qualcosa di probabilmente impensato dagli strateghi, visto che si pensava a un conflitto lampo che congelasse la situazione.
Di qui probabilmente il tavolo negoziale aperto in Bielorussia, con alcuni spiragli di trattativa aperti già dopo il primo round di colloqui. Il presidente russo ha fatto sapere al suo omologo francese Macron quali sono le sue prime condizioni: Crimea riconosciuta come russa e Ucraina neutrale (e sostanzialmente demilitarizzata). Non qualcosa che si possa accettare a cuor leggero da parte ucraina (e dall'Occidente). Ma non è la resa incondizionata che Mosca sperava di poter chiedere a pochi giorni dall'offensiva.
C'è poi anche la risposta forte, coordinata e rapidissima con cui Paesi, istituzioni, opinione pubblica e singole personalità stanno reagendo all’invasione. Le sanzioni economiche – certo previste almeno in parte da Mosca –, stanno avendo un effetto domino sui mercati finanziari interni e sul rublo che forse non era atteso in misura così catastrofica, con un rischio di crac che crea scompiglio nei russi, corsi a ritirare contante. Preoccupati delle ingenti perdite attuali e di quelle ancora più pesanti future sono poi gli oligarchi amici del leader, che cominciano a esprimere qualche dubbio sulla bontà dell'operazione.
E c’è l'isolamento della Russia che si concretizza in tutti quegli aspetti ludico-espressivi che tanto peso hanno nel mondo odierno, a qualunque latitudine. Sospesi i viaggi verso le mete turistiche. Via dal calcio (Mondiali compresi) e dagli altri sport. Artisti e musicisti esclusi da eventi internazionali, o per boicottaggio o per rinuncia degli invitati stessi. Attacchi hacker ai siti Internet e censura che le autorità devono imporre all’informazione per fermare la crescita di un movimento di protesta interno.
Anche in Russia infatti cresce il ripudio dell’uso ingiustificato delle armi. Poche manifestazioni di piazza (perché la repressione è forte), nessuna però di sostegno esplicito, quelle adunate che le autocrazie trionfanti riescono sempre a organizzare per dare una facciata di consenso popolare.
Tutte piccole crepe in cui la diplomazia può aprire varchi e giocare una carta per il cessate il fuoco. Uno stimolo a non allentare la pressione sulla Russia e la solidarietà fattiva all'Ucraina, senza ancora illudersi che follia delle armi sia vicina alla fine.