giovedì 19 ottobre 2023
Israele porta video, foto e intercettazioni per provare di non aver colpito l'ospedale al-Ahli. Poi accusa la Jihad e parla di bilancio "gonfiato". L'Onu: responsabilità oscure
L'area dell'ospedale al-Ahli a Gaza City, colpito da un missile

L'area dell'ospedale al-Ahli a Gaza City, colpito da un missile - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Primo, la sera di martedì, un missile ha colpito l’ospedale al-Ahli a Gaza City. Secondo, l’esplosione ha ucciso parecchie persone. Questi sono gli elementi certi, ventiquattro ore dopo la strage di civili nella clinica gestita dalla Chiesa anglicana nella Striscia. Il resto è «oscuro», per utilizzare le parole del responsabile Onu per gli Affari umanitari, Martin Griffith. A cominciare dalle responsabilità. QUI LA CRONACA

Hamas, fin da principio, ha accusato Israele che ha risposto al massacro del 7 ottobre con massicci bombardamenti sull’enclave. Le forze armate dello Stato ebraico – o Tzahal, dall’acronimo – hanno fornito un corposo dossier per smentire le affermazioni del gruppo armato. Sarebbe stato l’alleato di quest’ultimo – la Jihad islamica – a colpire la struttura con il lancio di un razzo esploso alla partenza. Il portavoce militare, Daniel Hagari, ha portato video, immagini satellitari, infografiche, perfino l’audio dell’intercettazione di due miliziani, a sostegno della propria versione. La Casa Bianca, sulla base delle informazioni del Pentagono, è incline a credergli, come l’Italia. «Da quanto sta emergendo dalle indagini di intelligence nostre e di altri Paesi, la responsabilità israeliana sembra esclusa», ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.


L’Unione Europea, per bocca dell’alto commissario Josep Borrell, è rimasta cauta: «Non abbiamo conferme». Sono molte, in effetti, le questioni da chiarire. Quanti hanno avuto accesso alla clinica al-Ahli non hanno trovato il cratere lasciato dalle bombe di Tzahal. Il che rafforzerebbe l’ipotesi di un razzo partito dalla Striscia. Già 450 sono caduti per errore in aree popolate, secondo le stime israeliane a partire dal 7 ottobre, quando sono cominciate le incursioni aree. Nel parcheggio dell’ospedale, dove si erano rifugiati tanti, comunque, ci sono i segni di un vasto incendio e macchie di sangue. Di sicuro, purtroppo, le vittime sono tante. Ma sui numeri c’è forte discrepanza. Le autorità sanitarie dell’enclave parlano di 471 morti e quasi altrettanti feriti, cifre che porterebbero il bilancio dei raid a oltre 3.200 uccisi. Per lo Stato ebraico, il dato è «gonfiato». Mentre la Jihad islamica ha respinto al mittente la versione israeliana, in questo scenario complesso, l’Autorità nazionale palestinese si è rivolta alla Corte penale internazionale. «Abbiamo necessità di un’indagine super partes», ha detto la rappresentante in Francia, Hala Abou Hassira.

Al di là dei fatti, la tragedia del al-Ahli rischia di diventare un ulteriore acceleratore del conflitto con cui Israele è determinata a «distruggere la capacità operativa di Hamas».

Non si sa a quale prezzo. La “fase 2” annunciata dal premier Benjamin Netanyahu non è chiara. Dal governo arrivano dichiarazioni contrastanti. L’ultima, da Eli Cohen, parla di una riduzione dell’enclave.

Per cercare di allentare la tensione, Biden ha convinto il premier Benjamin Netanyahu ad autorizzare il passaggio di aiuti umanitari verso Gaza dal valico egiziano di Rafah. Il passaggio è chiuso dall’inizio della crisi «a causa dei raid di Tzahal», sostiene Il Cairo. Con il via libera, la situazione dovrebbe sbloccarsi. Non è, però, ancora detto: nonostante annunci e promesse, Rafah rimane sigillato e i 2,3 milioni di abitanti della Striscia sono allo stremo.

Lo stop ai bombardamenti, mantenuto durante il viaggio del presidente Usa a Tel Aviv. Anche Hamas ha fermato per qualche ora il lancio di razzi sullo Stato ebraico, per riprenderlo qualche minuto dopo il decollo del leader. Il copione bellico sembra, dunque, proseguire drammaticamente invariato.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI