Paola Caridi - Marco Giugliarelli
«Non amo parlare di eliminazione, di liquidazione: quello di Ismail Haniyeh è un omicidio mirato extragiudiziale. Questa è anche una categoria politica per Israele, un metodo usato per decenni non solo nei confronti di Hamas ma anche, per esempio, della Jihad islamica» osserva Paola Caridi, storica tra le massime studiose del movimento islamico. «L’idea di tagliare la testa del serpente – prosegue Caridi – è stata perseguita con estrema costanza da diversi tipi di governi israeliani. Se ci limitiamo al periodo in cui Netanyahu è stato premier, a periodi alterni, a partire dal 1996, l’idea di tagliare la teste del serpente ha sostanzialmente due motivazioni: incidere sulla struttura, eliminando la parte politica del movimento – anche se sono stati colpiti anche capi militari – e incidere sul negoziato. Già nel 1997, premier sempre Netanyahu, era stato preso di mira Khaled Meshaal, leader politico di Hamas.
Portando il Movimento di resistenza islamica su posizioni più radicali, come quelle di Sinwar?
È su questo che dobbiamo cambiare la prospettiva. Dentro Hamas ci sono persone che ricevono l’incarichi con delle elezioni. Ismail Haniyeh era stato eletto nel 2017 e nel 2021 come capo dell’ufficio politico: un mandato a tempo che fa emergere la dimensione collettiva di Hamas. Se viene ucciso Haniyeh ci sarà una persona che lo sostituisce: potrebbe essere Khalil Hayya, secondo me in “pole position” nella successione, potrebbe essere lo stesso Khaled Meshaal, potrebbe essere Musa Marzuk anche se, dopo gli anni ‘90, ha preferito muoversi come “eminenza grigia” impegnato nelle mediazioni. Certamente è in corso quello che loro chiamano martirio, ma la figura di un capo politico di Hamas non è così rilevante rispetto alla sua ideologia e alla sua struttura.
Se l’ideologia non è mai cambiata, allora il vero obiettivo di Israele è in questo momento il negoziato?
Sì, certo, è il negoziato. Anche se va tenuto conto che chi dà mandato di compiere questi atti, non sempre ha piena consapevolezza dei ruoli politici all’interno dell’organizzazione di Hamas. Io credo che il governo di Israele abbia voluto uccidere il negoziato, non la popolazione di Israele: una gran parte di Israele questo negoziato lo vuole, guidata dai familiari degli ostaggi che riescono a coagulare attorno a sè tutta l’opposizione politica a questo governo di estrema destra. Il governo di Israele ha voluto uccidere il negoziato, ma non è detto che comprenda appieno quanto la figura di Ismail Haniyeh fosse diversa rispetto a quella di Yahya Sinwar: coetanei ed entrambi cresciuti nell’università islamica di Gaza. Ma a volte sono giudicati indistintamente come leader delle stesso livello: Haniyeh, però, è stato primo ministro di un governo dell’Autorità nazionale palestinese e solo 10 anni dopo è diventato capo dell’ufficio politico di Hamas: un pragmatico che ha guidato la transizione dell’Anp da un governo di Fatah a un governo di Hamas. E prima ancora era stato assistente dello sceicco Ahmed Yassin, fondatore di Hamas. Aveva la stima della popolazione e l’abbandono di Gaza, va sottolineato, era funzionale al suo incarico politico: all’estero un leader clandestino ha più possibilità di manovra, può andare a Teheran, negoziare a Doha e in Egitto. E quando, il 10 aprile, sono stati uccisi i suoi tre figli e quattro nipotini, Haniyeh disse: «Non è colpendo la mia famiglia che si colpisce il negoziato». Nella retorica di Hamas, la questione non è mai individuale.
Quindi, se non è mai una questione di leader, questi attacchi cementeranno l’ideologia?
Certo, l’ideologia resta la stessa. Lo sciecco Yassin fu ucciso nel marzo 2004, il suo successo il mese dopo: non passano neanche due anni ed Hamas vince le elezioni.
Il serpente non muore, il negoziato invece sì. Quando Hamas, e i palestinesi in genere, potranno accettare anche solo un a mediazione internazionale?
È il cuore dl problema. Con il 7 ottobre, e con quello che avvenuto dopo il 7 ottobre, si sta inesorabilmente allontanando una possibile soluzione politica, giusta per entrambi. Sta vincendo una “linea ad excludendum” di una comunità sull’altra.