venerdì 22 settembre 2023
La Corte Suprema si è pronunciata contro il tentativo, di latifondisti e multinazionali agroalimentari, di limitare i diritti dei popoli nativi alle riserve protette nei loro territori amazzonici
La gioia dei natìtivi dopo la sentenza della Corte brasiliana

La gioia dei natìtivi dopo la sentenza della Corte brasiliana - Ansa

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L’euforia è esplosa, incontenibile. La folla di indigeni, accampati per l’ennesima udienza nella piazza dei Tre poteri di Brasilia, di fronte alla Corte Suprema, ha improvvisato danze, canti, grida di gioia. Ognuno degli ultimi quattro voti a favore è stato accolto con l’entusiasmo di un gol alla finale di un Mondiale. Fino alla vittoria schiacciante: nove a due. Al termine di un processo lungo due anni, nella tarda serata di giovedì (la notte in Italia), il più alto tribunale ha riconosciuto che appartengono di diritto agli indigeni tutte le terre sottratte loro dalla progressiva colonizzazione avvenuta nei secoli scorsi e accelerata dall’ultima dittatura militare, tra il 1964 e il 1985. Una tesi non nuova: lo afferma la Costituzione democratica, fissando anche un limite stringente per la restituzione: cinque anni.

Ne sono trascorsi 35 e agli indios sono tornati poco più di 400 appezzamenti spettanti su un totale di quasi 1.300. Non solo. Negli ultimi tempi, inoltre, i grandi latifondisti hanno cercato di fare pressione sulla magistratura per far passare un’interpretazione restrittiva del dettato costituzionale, quella del cosiddetto limite temporale o “marco temporal”. I territori da rendere ai nativi sarebbero stati solo quelli realmente occupati al momento dell’entrata in vigore della Carta, il 5 ottobre 1988. Poco più del 5 per cento del totale, secondo gli esperti, dato che i generali li avevano scacciati con particolare efficacia.

La tesi respinta al mittente

La tesi è stata respinta al mittente dagli alti giudici: solamente i due fedelissimi di Jair Bolsonaro, Nunes Marques e André Mendoça, l’hanno sostenuta. La sentenza ha validità universale. L’ha generata, però, un ricorso concreto. Nel 2009, un giudice locale aveva deciso di sottrarre al popolo Xokleng due territori strategici: la Terra Ibirama-Laklãnõ e della Reserva biológica do sassafrás, nello Stato meridionale di Santa Caterina, sulla base, appunto, del “marco temporal”: i nativi non le avevano in loro possesso nel 1988. Un precedente pericoloso che ha subito mobilitato la comunità e l’Agenzia deputata a proteggerli, la Fondazione nazionale dell’indio (Funai). Quest’ultima, rappresentata dalla storica attivista Joenia Wapichana, ha celebrato la decisione del massimo tribunale: «Ci sono voluti dodici anni per portare la questione di fronte alla Corte e altri due per arrivare alla sentenza. Ma ne è valsa la pena, finalmente è stata invalidata questa interpretazione assurda della Costituzione».

L'esultanza degli indios a Brasilia, daìvanti alla sede ella Corte Suprema, dopo la sentenza

L'esultanza degli indios a Brasilia, daìvanti alla sede ella Corte Suprema, dopo la sentenza - Reuters

La prima ministra dei Popoli indigeni della storia del Paese, Sonia Guajajara, ha ricevuto, invece, la notizia a New York, dove si trova per l’Assemblea generale Onu: «Quanti giorni di lotta, di preoccupazione, di attesa. Ora, però, possiamo festeggiare – ha commentato –. Questa sentenza garantisce un futuro più giusto per il Brasile e per il mondo». Già, il mondo. L’approvazione del “marco temporal” avrebbe consentito una nuova sottrazione di terre agli indios, perfino quelle già restituite sarebbero state a rischio. E a farne le spese non sarebbero stati solo i 300 popoli nativi brasiliani: i loro appezzamenti sono i meno deforestati e, in questo modo, aiutano a contenere il riscaldamento globale, come ha certificato la stessa Onu.
«Per questo possiamo dire che si tratta di una vittoria storica per la lotta mondiale ai cambiamenti climatici», ha sottolineato Fiona Watson, direttrice del dipartimento di Advocacy di Survival International, che ha svolto un importante ruolo di sensibilizzazione della comunità globale.
Il 31 maggio scorso, la Camera – dove il governo di centro-sinistra di Luiz Inácio Lula da Silva non ha la maggioranza – ha approvato in tutta fretta una normativa che non solo legalizza il “marco temporal” ma apre allo sfruttamento delle risorse energetiche dei territori indigeni e consente contatti con i popoli in isolamento volontario. La lobby dell’agrobusiness ha cercato di farla passare in Senato appena pochi giorni prima della sentenza della Corte. Non è, però, riuscita. La votazione del testo è stata rinviata alla prossima settimana.

Che cosa è il «marco temporal»

La cosiddetta tesi del “marco temporal” considera terre indigene solo quelle effettivamente occupate dai nativi nel momento dell’entrata in vigore della Costituzione, il 5 ottobre 1988. Si tratta di un’interpretazione restrittiva della Carta con il fine – dicono i sostenitori – di mettere fine alle continue dispute per la terra, data la lentezza del processo di censimento e restituzione ai nativi. E soprattutto di garantire i diritti acquisiti dei nuovi proprietari, in gran parte latifondisti che praticano agricoltura intensiva per l’esportazione, uno dei settori cruciali dell’economia brasiliana. L’idea ha acquisito maggior forza durante il governo del presidente Jair Bolsonaro secondo cui agli indigeni – 1,7 milioni di persone su oltre duecento milioni di abitanti – era stata data «troppa terra»: circa il 17 per cento.


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