sabato 8 luglio 2023
L'effetto di 45 anni di guerra continuano a pesare sul Paese che con l’interruzione degli aiuti internazionale ha visto esplodere la povertà: il 70% della popolazione è alla fame. E non si può curare
Emergenza salute, 9 afghani su 10 fanno i debiti per curarsi

Amir non parla. Non può farlo e non sa se lo farà mai più. Una mina gli ha lacerato le corde vocali. L’amico con cui passava sulla strada dove l’ordigno era rimasto in agguato, è morto. Il padre Munir, però, traduce in parole ogni gesto e perfino ogni sguardo. Da quando il piccolo è stato colpito, tre mesi fa, l’uomo, disoccupato con cinque figli, ha lasciato la provincia di Maidan Wardak ed è venuto a Kabul, per stare vicino al bimbo di 9 anni. «Non potevo lasciarlo solo. E non potevo farlo curare vicino casa. Le cliniche pubbliche sono gratuite in teoria. Ma, in pratica, se hai necessità di farmaci devi pagarli e io non ho soldi. Così mi sono rivolto a Emergency», racconta.

Attivo dal 2001, l’ospedale bianco circondato da un grande giardino, incredibilmente rigoglioso nonostante l’afa estiva, garantisce cure gratuite e di qualità agli afghani, al ritmo di 300 ricoveri al mese. «Fino all’anno scorso, oltre il 90 per cento si presentava al nostro cancello con ferite di guerra – afferma Eleonora Colpo, infermiera trentina e veterana dell’Afghanistan –. Ora sono circa la metà». Per la prima volta, dunque, da gennaio, Emergency ha aperto i criteri di ammissione ai traumi civili. L’aumento delle sicurezza è evidente. Con il nuovo corso taleban, a Kabul è tornato il traffico, perfino dopo il tramonto. Il pugno di ferro degli ex studenti coranici ha azzerato la resistenza armata. In pratica, solo i nemici del Daesh, continuano a colpire ma, negli ultimi mesi, con meno veemenza. Per fare un esempio, ancora, nel 2022, l’ospedale ha ricevuto i pazienti di 28 attacchi di massa nella sola capitale, attribuiti al Daesh. Dall’inizio dell’anno, ce ne sono stati tre.

Gli effetti di oltre quarantacinque anni di guerra continuano a pesare sul Paese che, oltretutto, con l’interruzione degli aiuti internazionale, ha visto esplodere la povertà: il 70 per cento della popolazione è alla fame. La salute è uno dei tasti più dolenti. Dall’inizio dell’Emirato, buona parte del personale medico è fuggito all’estero: nella provincia di Logar, con 700mila residenti, sono rimasti solo due chirurghi e un ortopedico. La metà degli afghani non può acquistare i medicinali di cui ha necessità ed è costretto a scegliere tra cibo e farmaci, un quinto ha visto morire un parente o un amico per mancanza di cure, quasi tutti – nove su dieci – hanno dovuto indebitarsi per pagare l’assistenza sanitaria. Farida è una di loro. «L’anno scorso mio marito ha preso il Covid. Tossiva tutto il giorno, aveva la febbre alta, non riusciva a respirare. Volevo portarlo in ospedale, ma come? Vivo in un villaggio a due ore da Bamyan e non ci sono mezzi. Le ambulanze, beh, non conosco nessuno che ne abbia presa una... Almeno volevo chiamare prendere delle medicine ma non avevo soldi. Ho dovuto chiedere, così, a un vicino. Mi ha prestato 600 afghani (65 euro, ndr), però ne ha voluto altri mille di interessi», racconta l’anziana, avvolta in un hijab scuro.

L’incubo è finito grazie al gruppo di “risparmio” creati a Bamyan dall’associazione locale New Horizon: le donne mettono i loro pochissimi risparmi in comune per far fronte alle emergenze o avviare piccolissime attività produttive. Un’altra quota la mette l’organizzazione che si mobilità nei casi più gravi, come quello di Farida. «Anche io avrei dovuto indebitarmi. Dove avrei trovato i soldi – sottolinea Munir –? Non so se Amir parlerà di nuovo. Ma almeno Emergency gli ha dato una possibilità».

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