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Due donne sopravvissute agli scontri tra l'esercito congolese e i ribelli filo-ruandesi - Ansa
Dopo Goma, Bukavu. È la tabella di marcia con cui i ribelli filo-ruandesi dell’M23 intendono continuare la conquista dei territori orientali della Repubblica democratica del Congo sottraendoli al controllo del governo. Una città dopo l’altra, tra quelle più strategiche, a buttare benzina sul fuoco di una crisi già incandescente. Goma, centro nevralgico a nord del lago Kivu, è caduta martedì quando le milizie, dopo un durissimo scontro a fuoco con l’esercito nazionale, hanno occupato l’aeroporto. Ieri, è cominciata la marcia verso Bukavu, a sud. Sono decine le città messe a ferro e fuoco dai ribelli dagli inizi di gennaio.
Minova, Bweremana, Lumbishi, Numbi e Shanje sono solo alcune. È impossibile al momento fare un bilancio degli scontri: si parla di «migliaia di feriti e di centinaia di morti». Dall’Onu e dall’Oms sono arrivate segnalazioni di stupri commessi durante i combattimenti, sulla cui scia si sono consumati pure saccheggi ai depositi di cibo. Una débâcle. Sullo sfondo delle violenze c’è la corsa ai minerali preziosi, soprattutto per i prodotti elettronici, di cui la pancia del Paese è ricca: oro, tantanio, coltan e cobalto. Cave e miniere che fanno gola a tutti, in particolare, a Usa e Cina. Le milizie M23 sono “pedine” del vicino governo del Ruanda che le usa da tempo per mettere le mani sui giacimenti. Il presidente Paul Kagame spaccia le retate come interventi extraterritoriali a tutela della minoranza tutsi, nodo legato al genocidio del 1994. Il dittatore, questo è quello che racconta la cronaca delle ultime ore, dialoga con Donald Trump che, non è un mistero, è determinato a sgombrare il cuore dell’Africa dall’influenza cinese. Il neo segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha espresso ufficialmente «preoccupazione» per l’escalation della crisi esortando al rispetto della «sovranità e dell'integrità territoriale». A telefono con il presidente ruandese, ieri, ha insistito sulla necessità del cessate il fuoco. Ma da parte delle autorità di Kigali non ci sono segnali di ripensamento. Anzi. Il ministro degli Esteri di Kagame, Olivier Nduhungirehe, ha annunciato il rimpatrio di oltre 200 «mercenari europei», in particolare rumeni, che affiancavano i militari congolesi sconfitti. Mossa interpretata come un ulteriore tentativo di indebolire il presidente congolese Felix Tshisekedi (secondo alcune fonti al centro di una faida dei partiti di governo) che, ieri, doveve tenere il primo discorso alla nazione. Ma che, soprattutto, ha rifiutato l’incontro con Kagame.
Sarà di nuovo guerra estesa? Torneranno gli orrori dei primi anni 2000? Sarà questa la Terza guerra del Congo? Il rischio c’è. Gli stranieri stanno intanto abbandonando il Paese tra gli appelli della Croce Rossa a tenere gli attacchi lontano dai laboratori che custodiscono campioni di virus ebola.